La pozzanghera

L’infinito può schiantarsi contro una “sciura”? Scoprite la risposta in questo racconto di Eleonora Rossetti, secondo classificato nella 126° Edizione di Minuti Contati con Sara Bilotti come guest star, scritto sul tema “La finestra sul cortile”.

 
Quando la sciùra Gilda notò la pozzanghera, già puzzava.
Era nel bel mezzo del cortile, quasi a beffare quell’estate orfana di acquazzoni. Emanava un olezzo peggiore dello smog afoso della città, che s’infiltrava attraverso le imposte. La sciùra Gilda chiamò l’amministratore perché intervenisse, ma era in vacanza, e il condominio era stato svuotato dalle ferie di Ferragosto.
Sul calar della sera, osò avvicinarsi coprendosi il naso con un fazzoletto. Sulla superficie della pozzanghera ribolliva una mucillagine verdognola. Per un attimo le parve di scorgere delle piccole meduse e altre forme traslucide, come gelatine fluttuanti, in mezzo a quel liquame. Si grattò le profonde rughe regalate dai suoi novant’anni e sputò un bello scaracchio dentro la pozza.
«Spùzza!» si limitò a dire, e rientrò ripetendolo come un mantra.
 
All’alba sbirciò dalla finestra. L’acqua sembrava più limpida e non emanava odore, così la Gilda si avvicinò ancora. Stavolta vide dei pesciolini guizzare come forsennati. Sotto i suoi occhi, uno di loro crebbe a dismisura e balzò fuori dall’acqua finendole sui piedi.
Senza fare una piega, la sciùra lo calciò via.
Il pesce rotolò tra le aiuole e si drizzò sulle pinne, che divennero presto zampe. L’occhio privo di palpebre la scrutò, il corpo si gonfiò assumendo le fattezze di un rospo e, con un gracidio cupo, la creatura s’infilò sotto una delle auto parcheggiate e sparì.
La Gilda rientrò borbottando, pulendosi le scarpe sullo zerbino.
 
Il giorno dopo, di mattino presto, il postino le citofonò per farsi aprire il cancello. La Gilda lo fece entrare senza pensarci troppo, ma dopo qualche secondo udì un ringhio feroce e un urlo tremendo stroncato quasi sul nascere. In tutta fretta sbirciò attraverso i pertugi delle serrande, seguendo i dettami del fatti-i mazzi-altrui, e vide una strana lucertola su due zampe trattenere un corpo tra i denti e trascinarla dall’auto parcheggiata fino alla pozza, dove si tuffò.
La pozzanghera ruttò, come soddisfatta. Dopo qualche minuto, l’acqua prese a gorgogliare e subito dopo ogni sorta di creatura pelosa ne emerse. Ratti, opossum, gatti, volpi e persino bertucce invasero il cortile come una piaga.
Senza scomporsi, la sciùra Gilda afferrò il flacone di candeggina che teneva sotto il lavello e ne versò un fiotto attraverso le persiane. Gli animali si dispersero in fretta tenendosi alla larga dal pianterreno. Lei cosparse i davanzali di veleno per topi e andò a fare i mestieri, sempre borbottando.
 
Quella notte lui emerse dall’acqua. Uomo e superuomo, nelle fattezze e nell’intelletto.
Nudo, attraversò il cortile fino alla porta d’ingresso, gli occhi colmi di tutta la conoscenza vissuta e che ancora doveva vivere.
Posò un dito sull’uscio e lo spalancò col solo tocco delle arti donategli dall’Universo.
Aprì la bocca per comunicare la Verità Ultima e non si accorse nemmeno di ciò che, senza misericordia, si schiantò sul suo cranio ponendo fine alla sua vita da profeta.
 
La sciùra Gilda guardò il corpo riverso sullo zerbino. Posò il bastone da passeggio e arricciò le labbra.
«Ah, no!» sputò con astio, strusciando le ciabatte mentre andava a recuperare un sacco nero e il mocio per pavimenti. «Al và bén la spùzza, al và bén i ràt, ma al ghà minga pòst pe’l’imigràt!»