
Pedro sputò per terra e riaccese le luci interne della Casa. Prese le banconote spiegazzate dalla cassa e se le ficcò in tasca. Masticò il filtro della sigaretta e soffiò via il fumo dalle narici. Gli rimase in bocca un saporaccio di tabacco ammuffito. Si trascinò fuori dal gabbiotto e si guardò intorno. Il baccano del luna park si era placato. I grilli ci davano dentro con il loro canto in quell’umidiccia notte d’estate. Gli altri giostrai erano già andati a dormire nelle lerce roulotte. Lui no, aveva ancora da fare.
Si grattò le chiappe e salì la rampa che portava all’ingresso della Casa. Avrebbe potuto percorrere la strada verso l’uscita a occhi chiusi, conosceva quel labirinto di vetro come le sue mutande. Raggiunse il retrobottega senza fretta, accompagnato dallo scricchiolio familiare del pavimento di legno.
Pa’ lo aspettava incarognito sulla sedia a rotelle. Dalla stanza nascosta provenivano i pianti e le proteste dei piccioncini.
«C’hai messo un’eternità, stavolta, caprone» lo rimproverò Pa’. La sua faccia sembrava la corteccia secca di una sequoia moribonda.
Pedro tirò su col naso. «La trappola s’è inceppato e poi non mi piaceva nessuna.»
Suo padre puntò un indice nodoso contro la parete, come la canna di un fucile. «E allora chi cazzo c’è là dentro?»
Pedro andò ad aprire. Il cubicolo era occupato da un ragazzo e una ragazza terrorizzati. Si abbracciavano e tremavano come foglie. Lei era carina, capelli neri e lisci, occhiali rossi e una salopette di jeans; lui era rasato a zero e pareva un secchione. «Però alla fine l’ho trovata.» Sorrise alla ragazza, poi si ricordò di essere sdentato quasi come il suo vecchio e chiuse il sipario delle labbra.
«Per favore, lasciateci andare» implorò il pelato.
Pedro non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. «Come ti chiami?»
Era devastata dai singhiozzi. «Em…ma»
«Suona bene, cazzo!» esclamò Pa’, e si avvicinò facendo cigolare le ruote della carrozzella. «Allora? Che dici? Le assomiglia?»
Lui si avvicinò. Allungò una mano e provò a sfiorarle il viso appetitoso. Il calore si riversò nel cavallo dei pantaloni. La desiderava.
«Lasciala stare» grugnì il secchione.
«Falla finita!» lo zittì il vecchio. Alzò una rivoltella e gliela puntò contro. Il ragazzo si irrigidì all’istante e cominciò a piagnucolare. «Pedro, poche ciance. Fa’ quello che devi.»
La rabbia gli travolse l’anima come un’eruzione. Afferrò il secchione e lo scaraventò a terra. Lo prese a calci nelle costole e infine gli stampò la scarpa sulla faccia. Un rumore di legno spezzato gettò Emma nel terrore. Strillò senza controllo. Un gorgoglio prolungato segnò gli ultimi istanti del ragazzo.
Pa’ indietreggiò per non insozzare le ruote di sangue. «Pace all’anima sua. E ora andiamo di là» ordinò.
Pedro afferrò Emma per una bretella e la attirò a sé. Lo investì la dolce fragranza del suo profumo.
Si trasferirono nella roulotte.
Pedro aiutò il vecchio ad adagiarsi sulla sua poltrona polverosa. Emma era ridotta a una bambola di pezza per cui dovette trasportarla a braccio sul letto. Non smetteva di piangere e aveva lo sguardo perso oltre gli occhiali calati sulla punta naso.
In quel momento, dal bagno uscì Serafin. Il ragazzo si fermò sulla soglia. In una mano stringeva un libro marrone.
Pedro non capiva. Lanciò un’occhiata alla gabbietta vuota. Suo figlio aveva osato togliere le bambole da lì e le aveva adagiate sul pavimento, una di fianco all’altra, come in una fossa comune. «Chi cazzo ti ha dato il permesso?»
«Caprone» intervenne Pa’, gracchiando. «Ti avevo detto che qualcosa in lui non andava!»
«Ho solo parlato con Jasmin. Mi presta questi. Mi piacciono.» Serafin gli mostrò il libro. La sua voce tremolava di paura.
«Ti avevo proibito di incontrarla» sbottò Pedro. «Oggi è un giorno importante, finalmente l’ho trovata. È uguale a tua madre.»
Il ragazzo guardò Emma con compassione. «Non voglio più fare questo gioco.»
«È un rammollito» sentenziò il vecchio, sputando dalla bocca ogni singola sillaba. «Con lui è tempo perso!»
«Ti darò un fratello» gli promise Pedro, rivolgendo una mano speranzosa verso la ragazza. Lei si tolse gli occhiali e si rintanò contro la parete scorticata della roulotte.
«Non voglio» si oppose Serafin.
«E sarà migliore di te.»
Il ragazzo corse all’uscita ma il vecchio gli puntò contro la rivoltella. «Fermo lì, caprone.»
Lo sparo costrinse tutti a stringere le palpebre.
Un dolore sconfinato al petto condannò Pedro a inginocchiarsi e ad assistere alla lotta selvaggia tra Serafin e suo nonno.
La vista si offuscò. Le forze zampillarono via dal suo corpo.
Un altro sparo e Pedro vide, attraverso la nebbia cerebrale, che Pa’ si era accasciato su un bracciolo.
«Va’, sei libera» sentì dire a suo figlio. Poi, in un ultimo guizzo di lucidità, udì le ultime, sdegnose parole del suo vecchio: «Buon sangue non mente.»
(Copertina creata con CHATGPT)