
Finalista nella Livio Gambarini Edition, 146° All Time, un racconto di Andrea Lauro.
Spalanca la porta e mi piomba in ufficio, il poster motivazionale ondeggia. “Se vuoi, puoi” a caratteri cubitali.
Franco è rosso in viso. OK, ci siamo. «Cos’è, volevi fottermi?» Punta l’indice. «Piccola merda. Credevi non me ne sarei accorto?»
Allontano le dita dalla tastiera, gli mostro i palmi. Il momento della verità. «Franco. Che succede?» Chissà se riesco a tenere un tono calmo.
«Piccolo frocetto. Non giocare con me.» Mostra gli incisivi. «L’affare Pirelli. Volevi concluderlo sotto il mio naso?»
Deglutisco. «Te ne avrei parlato.»
«Non fare lo stronzo! Non mi hai detto un cazzo. Cos’è, volevi chiudere la transazione e lasciarmi fuori?»
«Non… non è come credi.» Tutti questi anni, e mai una gratificazione.
«Va’ all’inferno, zecca. E pensare che mi fidavo.»
«No!» Batto le mani sulla scrivania, il laptop sobbalza. «Non ti sei mai fidato di me. Ho dato tutto, per questo studio.» Le notti, i fine settimana. E quando ho dovuto scegliere, il matrimonio.
Franco sogghigna. «Che fai, il piagnisteo?» Indica il corridoio al di là della porta. «Ho trovato tutto. Conti, proiezioni. E il contratto di vendita, pronto per essere firmato.» Appoggia le mani ai fianchi. «Tu credevi davvero di farmi fesso.»
In tutti questi anni, sarebbe bastato un grazie. Stronzo irriconoscente. Mai una transazione a mio nome. Mai un invito a cene e convegni. Il tuo schiavetto h24, e ti prendevi i meriti.
Franco scuote il capo. «Ma io ti ci mando davvero, all’inferno.»
All’inferno ci sono già, mi ci hai messo tu. E ho fatto la mia parte nello spingermi fino in fondo. «Ascoltami, ti prego.» Sono mesi che mi preparo: dammi l’opportunità di salvare tutto questo. Un segno di gratitudine.
«Sta’ zitto.» Quell’indice mi punta ancora. «Ci hai provato e ti è andata male. Sei fuori.» Fa un cenno verso la porta. «Raus. Ho appena siglato la transazione. Io, non tu.»
«No.» Chino il capo. Allora è finita.
«Ti voglio fuori in mezz’ora.» Si volta, esce. Passi che si allontanano sulla moquette.
Sospiro. È un peccato aver costruito tutto questo solo per doverlo smontare. Cosa farò una volta fuori? Potrebbe essere l’occasione per abbandonare tutto, scegliere un’altra vita.
Inspiro. Apro la casella di posta, vado in bozze e seleziono la mail. Rileggo il testo. Invio? Tamburello con le dita. OK, invio.
La scrivania è sgombra, non ho oggetti da portare con me. Una volta c’era la foto di mia moglie, qui sopra. Mi alzo, la poltrona fa mezzo giro su sé stessa. Sorrido. Sì, ciao anche a te. Eri l’unica a cui importava del mio culo.
Passo di fronte all’ufficio di Franco. La porta è aperta, busso. «Franco?»
Fa finta di non sentirmi.
«Franco.»
Alza gli occhi dal monitor. «Sei ancora qui?»
La mia voce esce calma. «Conosco un tizio, in Pirelli. Uno dell’amministrazione.» Infilo le mani in tasca. «Per capirci, quello che mi ha venduto le dritte giuste.» Pausa teatrale. «Sai, sulle loro prossime operazioni commerciali. Roba di cui discutono solo a porte chiuse.»
Franco inarca un sopracciglio. Bravo, addenta il boccone, senti che gusto ha.
Mi appoggio allo stipite. «Hai presente, no? L’affare che hai appena siglato.» Dai, che ci arrivi. «Erano informazioni riservate, in Pirelli.»
Spalanca gli occhi. «Ma cosa…?» Hai capito, finalmente. E ora ingoia, figlio di puttana.
«Hai commesso un reato, Franco.» Inside trading. Si finisce in galera. Scuoto il capo. «Avremmo potuto fare soldi a palate.» Se solo mi avessi dato un’opportunità.
Sulla tempia di Franco è comparsa una vena. «Tu…»
Tiro fuori la mano, ora l’indice puntato è il mio. «No, Franco. Tu.» Mi stacco dallo stipite. «Cercati un buon avvocato. Ah, a proposito.» Mimo la frase con le labbra: va’ all’inferno.