Lascia perdere e sopporta

La stanza è piena di sedie e, come al solito, lui mi sta aspettando nella terza fila, quinta sedia a partire dalla parete. Ha cambiato abito rispetto alla settimana scorsa. Finalmente se ne sono accorti.
Si alza appena mi vede e un sorriso lo accende.
«Avvocato, che bello rivederla. Si sieda, avvocato. Resta un po’ con me, vero?».
Non gli ho più detto che non sono avvocato. A lui fa bene credere che lo sia e a me fa bene vederlo sereno.
«Oggi a pranzo c’erano i piselli e le polpette. Deve dire al direttore che il pomodoro è un po’ acido». Le mani tremanti cercano di intrecciarsi ma sembrano poli che si respingono. È nervoso oggi.
«Avvocato, anche la mia mamma mi faceva sempre le polpette. Ma lei non c’è più. L’hanno portata via quelli dei cioccolatini, per salvarla da lui». Alza per un attimo lo sguardo e mi sorride.
Lo assecondo.
«Ma che dici Antonio? Quali cioccolatini?».
Si siede e mi osserva.
«Ma sì, mi creda. Quelli dei cioccolatini le hanno fatto credere di salvarla da lui e invece l’hanno intrappolata in un barattolo».
La voce trema e gli occhi si perdono in un punto indefinito sul pavimento.
Racconta quella storia da anni ma ancora non riesco a venirne a capo. La mamma è la protagonista ma la storia è così folle e piena di assurdità che ancora oggi, dopo più di trent’anni, nessuno sa dirmi che fine abbia fatto.
«Io volevo liberarla, sa avvocato? Ma nessuno mi ha creduto e mi hanno portato qui, nel castello della verità».
«Liberarla da cosa, Antonio? Chi sono quelli dei cioccolatini?».
Sgrana gli occhi e un filo di saliva scende bagnandogli il colletto della camicia.
«Ma lei è pazzo!» si guarda intorno smarrito. Un tizio col berretto da alpino parla con una signora piuttosto avanti con l’età, probabilmente la madre. «Non si parla di loro quando c’è gente. No, non si fa!».
Si alza e viene a sedersi accanto a me. È agitato, forse ci siamo.
«Io non ho le traveggole. Sì, dicevano proprio così. Io l’ho vista la mamma nel barattolo e dentro tutti quei barattoli c’erano tante mamme. Non erano felici ma non urlavano più». Si alza e si porta le mani alle orecchie.
«Antonio, dimmi perché urlava. Ero piccolo, non ricordo».
«Piangeva la mamma e lui la picchiava. Ma loro l’hanno salvata e chiusa nel barattolo delle mamme infinite».
Mi alzo, questa storia mi porterà alla follia e mi troverò chiuso qua pure io.
«Antonio, calmati. Chi l’ha chiusa nel barattolo?».
SI avvicina a me e mi accarezza i capelli.
«Avvocato, lei era piccolo ma io so che le nonne ci hanno salvato. Nei barattoli c’erano anche loro e facevano tutte la stessa cosa. E lui ha smesso».
Ha alzato la voce e l’infermiere in fondo alla stanza mi guarda. Gli faccio cenno che va tutto bene.
«Perché ha smesso?».
Antonio mi guarda e sorride di nuovo.
«Avvocato, nel barattolo non può succedere niente di brutto. Basta lasciar perdere e sopportare».
Chiamo l’infermiere, voglio andarmene.
Mi allontano senza salutarlo e nella mia mente una frase risuona, un ritornello che conosco.
La voce delle nonne.
Lascia perdere e sopporta.