
Vita, morte, rinascita, vita. Vita. Terzo classificato nella 115° Edizione di Minuti Contati con Ilaria Tuti come guest star, un racconto di Stefano Pastor.
Ero sola nel deserto e quello era l’ultimo seme.
Null’altro era rimasto, soltanto noi due.
Era piccolo, eppure racchiudeva in sé un intero universo.
Il mondo era finito, ma non aveva importanza. Era già accaduto e sarebbe successo ancora.
Il calore era soffocante e tutto intorno a me era rosso, come i miei capelli. Arido e secco come una tomba.
Il momento era giunto, presto sarebbe stato troppo tardi. Era inutile camminare ancora.
Mi inginocchiai sulla sabbia, stringendo in mano la lama. Era solo un frammento di roccia, abbastanza appuntito da recidere la carne.
Partii dall’ombelico e praticai un taglio sul mio ventre. Allargai i lembi e vi infilai all’interno il seme. Poi li tenni accostati, perché la ferita si richiudesse.
Il tempo passò e il sangue si seccò, sigillando la ferita.
Praticai due tagli, appena sopra alle ginocchia, perché le radici potessero trovare uno sbocco e immergersi nel terreno. Poi, giacché di acqua non ce n’era più, le innaffiai col mio sangue, tagliandomi anche un polso.
Fluiva rosso, come la sabbia che mi circondava. Come i capelli, mio unico indumento, che accarezzavano il terreno. Dai miei seni colò il latte, in freschi zampilli, e si unì al sangue per nutrirle. Ed esse crebbero, forti e impetuose, mi ancorarono al suolo.
La pianta era in me, cresceva nelle mie vene, si espandeva nel mio corpo, rigogliosa. Presto sarebbe stata in grado di riprodursi.
Quando arrivò il momento, praticai un’altra incisione, a livello del cuore. L’infiorescenza, a lungo trattenuta, sbocciò.
Anche i fiori erano scarlatti, simili a orchidee, Crebbero veloci in tutto il loro splendore.
Con le mie lacrime li fecondai.
Praticai altri tagli, sulle spalle e sul collo, e altre infiorescenze apparvero. Ero tutta un fiore, e piangevo di felicità.
Smisi di piangere solo quando i fiori appassirono e le radici iniziarono a seccare. Grandi bacche sorsero dagli steli, purpuree anch’esse.
Le vidi crescere sempre più, fino a scoppiare.
Praticai incisioni in tutto il corpo, raccogliendo i semi e infilandoli nella mia carne. La nuova genesi aveva avuto inizio.
Chiusi gli occhi, sfinita.
Non c’era più niente che potessi fare, il mio compito era esaurito. Le nuove piante crebbero, senza alcun aiuto, perché ero terreno fertile per loro.
Apparve il verde della vita, a sconfiggere tutto quel rosso. Un verde che già si propagava, a combattere il deserto.
Mille foglie mi coprivano, le mie chiome avevano cambiato colore. Sempre più veloci sbocciavano le infiorescenze, da ogni parte. E i fiori avevano cento colori, tutti fuorché il rosso.
La vita cresceva, tutto intorno a me. Le radici erodevano il deserto, nuove piante venivano alla luce, diverse da quelle che si erano nutrite di me.
Velocissima, la genesi seguiva la sua evoluzione. Un nuovo mondo sarebbe sorto da quelle rovine.
Una nuova possibilità.
Chiusi gli occhi, finalmente. Non sentivo più dolore. Il mio sacrificio aveva dato i suoi frutti. Potevo riposare.
Un lungo sonno da cui mi sarei svegliata ancora, per portare conforto.
Giacché la vita non poteva morire. Mai.