Martirio

Raymond alza le tenaglie dal braciere. Trafigge le carni di Ambrosio con le punte incandescenti. Non fa una smorfia nel vedere l’uomo agitarsi sul tavolo, né lo disturbano le sue urla o l’odore di bruciato che invade l’ambiente.
Lo interrompo e mi avvicino al tavolo. Afferro Ambrosio per i capelli. Lo obbligo a guardarmi.
«Quindi, cane? Sei disposto a dirci quello che vogliamo sapere? O vuoi che chieda a Raymond di continuare?»
Il mio assistente non alza nemmeno lo sguardo. Ha posato le tenaglie e sta passando le mani sul corpo emaciato del monaco. Si sofferma tra le cosce e sulle caviglie.
«Ha studiato da cerusico, sai? Può individuare qualunque punto sensibile del tuo corpo e sfruttarlo al meglio» avvicino la bocca all’orecchio del prigioniero. «Sa infliggere il massimo dolore con il minimo danno, così da poter protrarre le sue cure molto più a lungo del normale…»
Ambrosio spalanca gli occhi arrossati. Piange e trema da capo a piedi, eppure il modo con cui serra la mandibola non è quello di un uomo spezzato.
«Non saprete niente da me… niente!» scandisce ogni singola parola. «Non tradirò i miei compagni e non abiurerò la mia fede!»
Muovo la mano. Raymond affonda le tenaglie nella caviglia sinistra del monaco. La strazia seguendo l’intonazione delle sue urla e i movimenti del suo corpo. Strappa carni. Recide tendini e cartilagini. Mette a nudo le ossa.
Mi guarda.
Io guardo Ambrosio. I suoi lineamenti sono deformati. La bocca è così serrata che sono comparse goccioline di sangue tra i denti.
Scuote la testa.
Mi volto verso Raymond.
«Continua.»
 
Legamenti strappati. Carni bruciate. Ossa spezzate.
Il corpo di Ambrosio è un crocevia di dolore, tenuto assieme più dalla bravura di Raymond che dalle parti ancora integre. Mi biascica a fatica la sua confessione nell’orecchio. Ansima. Piange dall’unico occhio ancora integro.
«Non chiederò a Dio di avere pietà di te, perché non ne meriti» estraggo lo stiletto dal fodero. «Ma non ho più motivo di tenerti lontano dal suo giudizio.»
Affondo la lama nel cuore. Il monaco smette subito di respirare.
«Lo abbiamo trovato, Raymond.»
Il mio assistente annuisce. Lascia i ferri della tortura e prende la carabina. Usciamo fuori dalla cripta e risaliamo ai piani superiori. L’Abate ci aspetta davanti alla porta che conduce alle celle meridionali.
Sgrana il rosario in una preghiera silenziosa.
«La biblioteca, Padre: deve aprirci subito la biblioteca!»
L’uomo, pallido alla luce delle torce, estrae un mazzo di chiavi dallo scapolare.
Attraversiamo di corsa il chiostro. La mole di un edificio imponente, secondo solo a quello della chiesa, ci sovrasta.
Raymond regge la torcia. L’Abate armeggia con la serratura. Gli tremano le mani.
La porta cigola in avanti. La spalanco e irrompo nella biblioteca.
Le candele illuminano un altare fatto di libri, circondato da ossa umane disposte secondo geometrie perverse. Un monaco solleva un volume enorme, le cui pagine brillano come se le parole fossero scritte con il fuoco. Salmodia alle ombre in una lingua incomprensibile e le ombre danzano seguendo la sua voce.
«Berengario!» urlo, estraendo la pistola da sotto al mantello.
Il bibliotecario si volta. La parte destra del suo volto è gonfia e deforme, traforata da quelle che sembrano le orbite di centinaia di piccoli occhi. Urla qualcosa. Distende il braccio verso di noi. Le ombre si allungano nella stessa direzione.
La mia pistola e la carabina di Raymond fanno fuoco allo stesso tempo. Berengario crolla a terra, rovesciando il piccolo altare.
Ci avviciniamo. Gli sposto il cappuccio del saio di Berengario con un piede: la sua testa è tornata normale. Anche le ombre che ci circondavano ora sembrano meno opprimenti.
Raymond si avvicina al libro. Lo illumina con la torcia. Il titolo è inciso sulla spessa borchia di ferro che ne chiude la copertina nera.
«“De vermis mysteriis”. Lo abbiamo trovato prima che gli eretici potessero completare i loro rituali.»
Il mio assistente si inginocchia per prenderlo, ma lo allontano.
«Brucialo.»
Raymond aggrotta le sopracciglia. Avvicino la sua torcia alle pagine.
«È troppo pericoloso per poterlo lasciare integro e ci sono altri eretici a cui dare la caccia. Bruciandolo adesso, accendiamo la fiamma che ci servirà per i roghi.»