Mi sento bene

Primo classificato nella Scilla Bonfiglioli Edition, 147° All Time, un racconto di Maurizio Ferrero.

 
«Si paga in cibo, tesoro. Questa è la regola.» Mi sistemo una ciocca di capelli scuri. «Cos’hai da offrire?»
Il barbone si fruga nelle tasche del cappotto lurido. Sulla stoffa sono appiccicati pezzi di spazzatura – incarti di patatine, vecchie lattine e pezzi di carta sporca. La manica destra è sostituita da un sacco di plastica nero avvolto intorno al braccio. È più lungo dell’altro e la mano ha solo tre grosse dita.
Il barbone tira fuori dalle tasche dei pacchetti e li mette sul tavolo. Sono tre confezioni di caramelle, contengono una decina di dolciumi colorati ognuno. Sulla plastica è stampato il volto di un cagnone blu.
Valuto la sua offerta mentre contemplo la blatta che gli zampetta sopra l’orecchio.
«Quindici minuti, niente contrattazioni. Ti sta bene?»
Annuisce, mostrando i denti gialli.
Agguanto i pacchetti e li faccio sparire tra le pieghe della gonna.
«Chi vuoi che sia oggi?»
Gli sorrido ammiccando.
«La mia donna.» Un filo di bava gli cola dal labbro. «Che mi vuole.»
«Donna, sei sicuro? Posso anche essere il tuo uomo… o entrambe le cose.»
Mi sollevo la sottana e gli mostro il doppio tesoro che nasconde.
I suoi occhi si allargano, sorpresi, ma dura solo un attimo. Nella terra desolata là fuori ci sono mutanti ben più strani.
«Donna.» Annuisce convinto. «Priscilla.»
«Sarò la tua Priscilla… per i prossimi quindici minuti.»
Il barbone si cala le braghe. Il suo pene rossastro è già eretto.
Durerà molto meno.
Mi siedo sul tavolo e allargo le gambe. Mi è addosso in un istante, entra tra le cosce e inizia a pompare ancora prima di essersi sistemato.
Lo aiuto poggiandogli i talloni sul culo e dandogli il ritmo.
«Priscilla…» Mi soffia il fiato fetido nell’orecchio.
Sono proprio lei, la persona con cui aveva bisogno di stare.
Mi sento bene.
 
Mi sciacquo le cosce nel catino di acqua sporca. Il barbone era unto di grasso. Sfrego la pelle con lo straccio.
Di sotto, nella strada davanti al bordello, c’è un viavai di strani personaggi. Cannibali dell’ovest, una coppia di donne-giumenta, un grosso mutante con un braccio ipertrofico che gli esce dal petto.
Una donna con una benda sull’occhio mi guarda. Ha la pelle bronzea e le mancano tutte le dita della mano sinistra. Ha un aspetto sgraziato, annientato dalla vita del dopo-apocalisse.
Appoggio le braccia alla finestra e le ammicco.
Lei si lecca le labbra ed entra nel bordello.
Dopo qualche minuto bussano alla porta. «C’è una cliente» sussurra il garzone dall’altro lato.
La porta si apre, la donna entra. Zoppica, ha un ginocchio piegato all’indietro.
«Si paga in cibo, tesoro. Questa è la regola.»
Senza che aggiunga altro, la donna sistema un fagotto sul tavolo e lo apre, facendo rotolare un blocco di carne cilindrico lungo una spanna.
Il radio spunta da un’estremità e ci sono ancora dei peli attaccati sulla pelle rosa.
«Per questo posso offrirti un servizio davvero speciale.» Le accarezzo la mano mutilata. La sento irrigidirsi. «Chi vorresti qui con te?»
«Mamma.» Il suo unico occhio si inumidisce.
«Sarò la tua mamma, bambina mia. Vieni qui, abbracciami.»
Le sue lunghe braccia mi stringono in una morsa. Mormora qualcosa di incomprensibile, le sue lacrime mi bagnano il collo.
Le accarezzo la schiena dura.
«Ti voglio tanto bene» sussurro al suo orecchio.
Qualcosa di appuntito mi punge il fianco.
«Io no.» La donna digrigna i denti. «Ti ho già ammazzato una volta, stronza.»
Il freddo metallo si conficca nel mio fianco. La allontano con una spinta, le sputo sangue addosso. Faccio qualche passo indietro, crollo con il culo a terra.
La donna fugge dalla porta tenendo nella mano buona il coltello insanguinato. I suoi passi si allontanano nel corridoio.
Prendo lunghi respiri, infilo la mano sotto il vestito squarciato e massaggio la ferita bruciante. La carne è appiccicosa come pongo. La manipolo finché i due lembi del taglio non si riappiccicano. Il dolore cessa.
Il garzone fa sbucare la testa dalla porta. «Va tutto bene?»
«Sì, sto bene.» Mi rialzo tenendomi al tavolo. «Ma ho bisogno di un vestito pulito. C’è qualche altro cliente in attesa?»
«Sì. Lo vado a chiamare?»
«Dammi cinque minuti.»
Siedo alla finestra. Nella strada, la donna fugge spintonando un paio di disperati e sparisce tra i vicoli.
Ero proprio lei, la persona con cui aveva bisogno di stare.
Mi sento bene.