Mille colpi di pistola

Quinto classificato nella 120° Edizione di Minuti Contati con Enrico Pandiani come guest star, un racconto di Linda De Santi.

 
Agente di Controllo 766 frenò di colpo, producendo uno cigolio fragoroso.
Il suo occhio allungabile uscì dall’orbita e zoomò il più possibile sul vicolo dall’altra parte della strada.
L’aveva visto davvero?
Riavvolse la memoria e riguardò l’ultimo mezzo minuto di registrazione. Per ventisei secondi non accadde niente, poi, negli ultimi quattro secondi, la vide: una ragazza argus che svoltava l’angolo.
Zoomò sul braccio di lei: nelle chele stringeva una mano.
Inviò immediatamente una foto della scena al Comitato della Rettitudine.
Poi attraversò la strada e s’infilò nel vicolo. La ragazza aragosta non poteva essere andata lontano.
Avanzò tra le pozzanghere e i bidoni della spazzatura. Sui muri qualcuno aveva scritto: “A morte il Comitato della Rettitudine” e “Agenti di Controllo=spazzatura”. Agente di Controllo 766 scattò un’altra foto e la inviò al Comitato.
Si trovò davanti a un bivio. La strada davanti a sé conduceva a un vicolo cieco, quella a destra conduceva a un incrocio. Svoltò e si ritrovò tra i tavolini di un bar. Si guardò attorno. Eccola lì!
La ragazza argus si stava allontando; la vide confondersi tra la folla radunata vicino a un passaggio pedonale. Aveva le chele intorno al braccio di un uomo.
Inaudito! Una tale infrazione così, in pieno giorno. Attivò l’allarme e sfrecciò sui cingoli fino all’incrocio. La gente si spostò per lasciarlo passare.
Raggiunse l’altro lato della strada. La ragazza aveva affrettato il passo e si trovava a cinquanta metri di distanza da lui.
«Le ordino di fermarsi!» gridò.
Lei si voltò. La vide sgranare gli occhi e mettersi a correre, trascinandosi dietro l’uomo.
Agente 766 accelerò. Scattò una serie di foto che inviò al Comitato della Rettitudine, chiedendo rinforzi. Di lì a poco il centro avrebbe rigurgitato Agenti di Controllo.
Attivò il cronometro: ogni minuto di resistenza di quella stupida ragazza aragosta le sarebbe valso una pena più dura. In ogni caso, cinque anni di carcere per il sequestro di un essere umano non glieli avrebbe tolti nessuno.
Vide la ragazza svoltare in un vicolo. Agente 766 sterzò bruscamente per evitare un autobus, poi rallentò per non impattare con la folla di argus che si era radunata alla fermata.
Entrò nel vicolo. Davanti a lui c’era una via senza uscita. La ragazza e l’uomo dovevano aver svoltato nella stradina a sinistra. Spense gli allarmi e si avvicinò.
Vide la ragazza vicino all’uomo. Aveva violato il protocollo di distanza: di fatto gli stava attaccata, con il corpo e con il muso, stringendolo tra le chele. Però non lo stava stritolando: lo teneva stretto a sé, come lui teneva stretta lei. Le loro bocche si toccavano. La mente di Agente 766 venne attraversata da immagini di fotografie, scene di film e dipinti famosi appartenenti alla sua memoria di serie. Era il gesto compiuto dalle coppie umane per dimostrarsi amore.
Il suo protocollo gl’impediva di usare violenza verso le manifestazioni d’amore. Contemporaneamente, gl’imponeva di impedire qualunque contatto tra umani e argus che superasse i limiti stabiliti dalla legge. Poteva arrestare due individui legalmente inadatti a stare insieme che però dimostravano di amarsi?
Mentre il suo cervello tentava di elaborare una risposta che risolvesse l’impasse, l’uomo si sciolse dall’abbraccio della ragazza e infilò una mano in tasca. Tirò fuori una pistola e gliela puntò contro.
«Mi dispiace» disse, e sparò.
Agente 766 si disattivò senza aver trovato una soluzione al paradosso.
Di lì a poco, decine di allarmi risuonarono in tutta la città.
Furono tutti fatti tacere da dieci, cento, mille colpi di pistola.