Orbita

Il rollio della nave gli rendeva difficile mettere uno zoccolo davanti all’altro. Quello, e la bottiglia di rum che si era scolato prima di salire in cabina. Lo sguattero lentigginoso appoggiato alla paratia lo scrutò. Aria di sfida sbocciò nel suo sguardo di giada, la bocca mezza storta e il mento sollevato. Ingoiò, e la paura scomparve dentro il colletto della camicia lercia. Sileno apprezzava quella corazza di stupido coraggio che a volte gli umani indossavano in sua presenza. L’aroma putrido che emanavano gli metteva un certo… appetito. Si grattò il membro che penzolava in mezzo al pelo folto tra le zampe e aggirò la scrivania. Sollevò dallo scranno il cadavere del capitano, un fagotto informe di ossa e carne, e lo scaraventò a terra. L’odore di feci e piscio doveva essere insopportabile per il ragazzo, anche se non lo dava a vedere. Schiacciò sotto lo zoccolo la testa pelata dell’ex capitano e l’occhio schizzò fuori dall’orbita, rotolando fino ai piedi nudi dello sguattero.
Si accomodò sullo scranno macchiato di sangue, tiepido e appiccicoso sulla pelle della schiena. I rotoli poggiati sulla scrivania di ginepro attendevano il suo esame. Sileno ne prese uno e se lo rigirò tra le mani. “Da che cazzo di parte si guarda?”
Il giovane si avvicinò attento a non calpestare il bulbo oculare che correva sul pavimento come fosse una biglia e girò la pagina sotto sopra. “Co-così, come se fosse un imbuto.” Una goccia di sudore sbucò dai ricci scuri e corse fino al mento imberbe. “Quando Lucifero è caduto giù dal cielo ha creato una voragine fino al centro della terra.”
“Cazzate.” Sileno accartocciò la mappa e gliela tirò contro. “E questa stronzata chi te l’ha raccontata?”
“Sta…” Lo sguattero abbassò gli occhi sulle assi del pavimento e prese un respiro. “Sta scritto nella Divina Commedia. Quella di Dante.”
“Lo scribacchino col nasone?” Sileno esplose in una risata che fece tremare le paratie della nave come il peggiore dei marosi. “E voi gli avete creduto?”
Lui sussultò, la spavalderia dietro cui si era difeso fino a quel momento svanita, come se l’avesse rinchiusa in un baule e avesse gettato via la chiave. L’odore dolciastro del terrore, saporito come frutta marcia e intestini rimasti a macerare al sole, riempì la cabina. Così inebriante. “State seguendo la rotta che vi ho indicato?”
Lo sguattero si affrettò ad annuire. Tremava come le fiamme di una pira al vento.
“Svegliami quando vedrai il gorgo.” Sollevò gli zoccoli e li appoggiò sulla scrivania strappando via pezzi di quegli inutili incartamenti ingialliti. Bah, mappe dell’inferno, cosa gli toccava sentire. Non era mai esistito niente del genere. Caronte si era portato nell’oltretomba il segreto. Povero vecchio coglione. Glielo aveva ripetuto mille volte che non avrebbe avuto alcun riconoscimento a lavorare così tanto. L’eternità è lunga e lui ne sapeva qualcosa. Gli era venuta a noia in fretta, tanto da desiderare di tornare a casa, sempre che Lucifero l’avesse ripreso. Chiuse gli occhi e i passi scalzi del ragazzo si affrettarono fuori dalla cabina.
 
***
 
Nocche bussarono alla porta. “Signore?” La voce dello sguattero, acuta per la giovinezza e il terrore. Sileno aprì la porta e sbadigliò. “Alla buonora.”
Un’onda lo accolse, alta ben oltre la murata, e spumeggiò sul ponte della nave. Il cielo era ricoperto di nubi, il sole uno sputo in una pozza di pece. “Ci siamo.” Se lo sentiva nelle ossa, su fino alla punta delle corna ritorte. Il blu dell’oceano mutava nel rosso del sangue appena versato e il gorgo, orbita oculare del mondo di sotto, lo ammoniva per il suo ritorno. Lucifero non era felice di vederlo.
“Padrone, perdonami!” gridò Sileno.
Un fulmine illuminò il cielo e diede il la alla tempesta. Goccioloni pesanti quanto chicchi d’uva piovvero giù con la foga di mandrie in fuga dai loro predatori. I marinai gridarono e si precipitarono ad ammainare le vele. Lo sguattero si vomitò sui piedi quello che era rimasto della sua giovinezza e abbracciò l’albero di trinchetto. Si fece il segno della croce, come se Dio avesse avuto a cuore la sua vita. O la sua morte.
Fischi e strappi e cigolii di cordame e fragore di alberi piegati dalla furia della pioggia, risuonavano nella tempesta.
“Voglio servirti di nuovo.” Il vento iroso copriva le sue suppliche. “Insegnami i segreti delle terre dell’aldilà e concedimi di traghettare le anime degli inferi.”
La nave si impennò e prese a mulinare nel gorgo, con la polena piantata come la punta di un compasso. Un uomo gridò e venne sbalzato in mare. Senza la guida di Caronte avrebbe vagato in eterno in cerca della via.
Sul pavimento inclinato, le botti che non erano state fissate si schiantarono a prua. Lo sguattero scivolò fino ai suoi zoccoli e si appese al manto sulle cosce. Le sue lacrime si persero nella pioggia incessante.
Sileno lo afferrò per i capelli e lo costrinse a guardare l’orbita cupa del gorgo. “Rimani con me, ragazzo. Se Lucifero vorrà, ti mostrerò le geografie dell’inferno.”