
Orlando sfondò la porta.
Fece cenno a Bianca – sua moglie – di seguirlo. Le indicò un lucore lontano con la mazza da baseball.
La casa al di là della strada, disabitata per anni, da due settimane si era animata di stridii, colpi di martello, e, soprattutto, urla disumane, persino nel cuore della notte. I due coniugi non tollerarono più tali insensate molestie, così decisero di porvi rimedio, alla loro maniera.
Si aggirarono tra le stanze maleodoranti e lerce, attirati da uno strano suono, qualcosa come un russare breve e rombante. Orlando individuò la fonte del lucore, che proveniva dal battente socchiuso di una vecchia porta di legno rovinata, e vi si diresse.
«Sta dormendo?» chiese Bianca. Lui la zittì con l’indice sulle labbra. La strattonò per un braccio verso quell’ultima stanza.
Avanzarono con meno determinazione di prima e furono investiti da un lezzo disturbante. Orlando sbuffò per la nausea ma proseguì. Afferrò il legno cosparso di crepe e spalancò la porta. Brandì la mazza, preparandosi a scatenare la sua rabbia contro i vicini irrispettosi.
Ciò che i due coniugi videro li riempì di orrore.
Un letto matrimoniale dall’ossatura arrugginita, sozzo di escrementi, occupava il centro della stanza. Sopra le lenzuola crespe giaceva una donna di mezza età in vestaglia rosa, supina, che fissava il soffitto e tremava, gorgogliava, grugniva. A pochi passi dal letto, adagiato a faccia in giù, la testa calva in equilibrio sul naso violaceo, c’era un uomo, la cui totale immobilità gridava la parola morte. Completava il macabro scenario un comodino rognoso con sopra due candele, un sacchetto di sabbia squarciato e una scopa di saggina poggiata su di un lato.
«Andiamocene» pretese Bianca, aggrappandosi al braccio del marito.
Orlando sollevò la mazza sulla testa, voleva comunque punire quella pazza, poi ci ripensò quando la sentì rantolare una bizzarra parola: «Pandafeche… pandafeche…» Aveva certamente perso la ragione. Forse aveva ucciso il marito e si stava lasciando precipitare in una abisso di follia. Qualcosa però non andava: Orlando capì che non erano soli quando intravide cinque dita affusolate e scure stese sulla coscia sinistra della donna. Le orride dita, che terminavano con artigli affilati come lamette, cominciarono a picchiettare sul muscolo irrigidito. Ta-ta-ta-ta-tac! Ta-ta-ta-ta-tac!
«Panda… feche…» La donna aveva rantolato ancora. Dal bordo del letto spuntarono una testa informe, che sembrava fatta di cuoio bruciato, e due occhi arrossati.
«Corri!» urlò Orlando alla moglie. Con un fulmineo balzo, la creatura fu più lesta a ghermire Bianca alle spalle, la quale, sopraffatta dal panico più assoluto, cercò scampo fuori dalla casa.
Orlando, tuttavia, non seguì subito la moglie: appena oltre l’uscio della stanza da letto, si girò per un istante e vide che la donna si stava stiracchiando sulle lenzuola come se si fosse finalmente liberata da invisibili catene. «Sia lodato il Santo Padrone del mondo!» esclamò. Sbatté le palpebre e incontrò lo sguardo dell’uomo esitante, gli rivolse un abbozzo di sorriso poi individuò il cadavere sul pavimento e si sciolse in lacrime.
Orlando abbandonò la mazza e si lanciò verso l’uscita, con il cuore imbizzarrito. Fuori, riprese fiato, sconvolto. Si guardò intorno ma non vide Bianca da nessuna parte.
La sentì gridare dalla loro camera da letto.