
«Chi è morto?»
L’agente sulla soglia lo guarda come se gli avesse dato un pizzicotto.
Per Jerome è scontato che quando vengono a cercarlo a casa ci sia un caso che solo lui può risolvere. D’altra parte lui e Arkeos sono gli unici medium forensi abilitati, quindi tocca sempre a uno di loro.
Almeno lui non usa uno stupido nome da prestigiatore dell’Ottocento.
«Ehm, sì.» Il poliziotto consulta un tablet. «La vittima si chiama Victor Kessel.» Alza lo sguardo dallo schermo. «Conosciuto come–»
«Arkeos.»
«Lo conosce?»
Jerome deglutisce. «Eravamo… colleghi.» Rivali, sarebbe più corretto. «Come è successo?»
Scrolla le spalle. «Questo ce lo deve dire lei.»
Gira il tablet a mostrargli una foto di Arkeos riverso su una poltrona. In mano ha un pezzo di carta strappato. Zooma sul foglio: chiamate Jerome Duval.
Le indagini non hanno concluso niente, altrimenti non sarebbero venuti da lui. Dopo anni di consulenza medianica Jerome ha imparato a studiare i referti, a volte ha pure scoperto indizi sfuggiti agli investigatori. Fare le domande giuste alle anime nel breve contatto con l’Aldilà è essenziale.
Il detective di fronte a lui chiude la cartella con le carte sul caso. «Questo è tutto.»
«Soffocamento?»
«Ma niente corpi estranei né segni di violenza.»
«Forse un suicidio?»
«Forse.» Fa una smorfia. «Pensa che ne avesse motivo?»
«Non saprei, non lo frequentavo al di fuori del lavoro.»
Il detective affila lo sguardo. «Non eravate proprio amici, vero?»
Sospetta di lui? «Eravamo concorrenti. Abbiamo avuto degli screzi in passato.»
«Screzi.» Solleva un sopracciglio, come fosse una parola nuova.
Inutile continuare con questi giochetti. «Senta, Kessel voleva che intervenissi io.» Un’anima nell’Aldilà non può mentire. Parlare direttamente con i morti è il modo più rapido per risolvere casi come questo. «Facciamolo.»
«Accetta di contattarlo?»
«Anche subito.»
Nell’aula del tribunale ci sono solo il giudice, il detective e lo stenografo. Non c’è bisogno di avvocati, quando quella che sentiranno può essere solo la verità.
Jerome traccia il pentacolo e porta le mani sul manipura. Chiude gli occhi e respira di diaframma. Subvocalizza per avviare il contatto, chiama senza voce il suo nome, cerca la sua anima.
Il suo corpo sussulta, dallo sterno verso le ginocchia e su fino alle tempie. La mente del morto è in lui, Jerome può sentire i pensieri di Arkeos che adesso muove il suo corpo.
Il giudice si sporge sul banco. «Victor Kessel?»
«Ci sono» risponde Arkeos attraverso di lui.
«Victor, come sei morto?»
«Soffocato.»
«Ti sei strozzato mangiando?»
No. «No.»
Jerome percepisce le risposte prima che ecano dalle sue labbra.
«Ti sei ucciso?»
No. «No.»
«Cosa è successo?»
Una reazione allergica. «Sono stato strangolato.»
Perché ha detto una cosa diversa?
«Cioè sei stato ucciso?»
No. «Sì.»
Come fa a mentire?
«Chi ti ha ucciso?»
I morti non possono mentire, Jerome. Ma i vivi sì, e tu sei vivo.
«È stato Jerome Kessel a uccidermi» dice la voce di Jerome.
Vorrebbe fermare quelle menzogne ma non può, Arkeos ha il controllo.
E gli parla nella mente.
Un medium rimane medium anche da morto. Se tu contatti me, io sto contattando te.
«È sufficiente?» chiede il giudice al detective.
«I morti non mentono.»
Ti avevo detto che avrei vinto io, prima o poi.
Arkeos lascia il suo corpo.
Jerome apre gli occhi.
Il detective gli sta davanti, le manette pronte. «L’avevo capito subito…»