Sbagliato

Il bambino aprì la porta ed entrò nello studio con un sorriso candido C’era qualcosa di nebuloso, sul suo volto. Come se i suoi tratti fossero offuscati da una sottile caligine.
Il dottor Gherzi si tolse gli occhiali e pulì le lenti con il panno. Sospirò, il fiato gli uscì dalla trachea come il sibilo di un polmone d’acciaio.
Non sopportava quel bambino. Se fosse stato un uomo più emotivo, avrebbe detto d’odiarlo. Ma doveva stringere i denti ed esibire un’espressione accomodante. Farlo sentire a suo agio.
Non avrebbe mantenuto a lungo il ruolo di psicologo scolastico, se avesse iniziato a sfogare la sue emozioni sui piccoli pazienti.
«Buongiorno, Luca. Accomodati.»
Il bambino scostò la sedia con un movimento meccanico e ci si adagiò.
Aveva capelli biondi, ma di un biondo troppo strano. Non erano tinti, non erano naturali. Erano di un colore diverso. I suoi occhi? Stessa cosa. Non erano azzurri, non erano verdi. Erano una via di mezzo che non stava nello spettro naturale dei colori.
Quante cazzate. Stava cercando una motivazione sensata per provare quei sentimenti per Luca, quando in realtà una motivazione non c’era. Lo sentiva nella pelle, ma non riusciva a spiegarselo.
Era solo sbagliato. Tutto sbagliato.
Luca non sembrava intenzionato a parlare. Doveva iniziare lui. «Luca, sai come mai ti hanno mandato qui?»
Annuì. Persino i suoi movimenti sembravano sbagliati, come la testa di un pupazzo che oscilla in direzione contraria al vento.
Si fece forza, cercò di non vomitargli addosso parole d’odio. «Perché non me ne parli?»
«Martina si è fatta male.» Cristo, persino la sua voce era oscillante.
«Sì, hanno dovuto portare la tua compagna in ospedale. E tu sai perché? A quanto mi hanno detto le maestre c’eri tu con lei, eri proprio lì quando è svenuta.» Prese un profondo respiro. Aveva bisogno di fumare. «Perdeva sangue dal naso. Non è che c’entri qualcosa?»
Luca lo fissò a lungo senza proferire parola. Non era nervoso. Non era agitato. Era freddo come un animale morto. Non un essere umano, proprio un animale.
Gherzi tamburellò le dita sulla superficie del tavolo. Cosa c’era di sbagliato, in lui? Non riusciva proprio a spiegarselo. L’aveva già visto tante volte nel suo studio, e tutte le volte aveva avuto quella sensazione.
Un esaurimento nervoso? Parlare con bambini piagnucolanti tutti i giorni era qualcosa che poteva mandare fuori di testa, eppure…
Eppure.
Lo smartphone squillò. Lo stavano chiamando dalla presidenza. Strano, era solo a due corridoi di distanza. Portò il telefono all’orecchio e fece scivolare il dito sullo schermo. «Sì?»
Parole smangiucchiate dall’altro lato.
Deliri di morte.
Martina. Un’emorragia cerebrale.
Non c’era stato niente da fare.
Appoggiò il telefono al tavolo. Fissò il bambino che lo scrutava in maniera sbagliata dall’altro lato della scrivania.
Era stato lui. Non sapeva come, ma era colpa sua.
«Luca?» La sua voce tremava. «Cosa hai di sbagliato?»
«Nulla. Ho solo una madre diversa.»
Un sentore bagnato e caldo scivolò dalla sua narice sinistra.