Stendhal

Stringo i biglietti nella tasca e mi avvicino al primo pannello, non sono dipinti, sono disegni su carta. Catia ha parlato tanto di questa mostra e poi mi ha dato buca, non so nemmeno perche sia venuto lo stesso.
Il primo è un angelo con un ala sola che si contorce, i muscoli non sembrano nemmeno tracciati con la grafite.
Il disegno dopo è più grande, un angelo anche questo. Forse.
Non sembra serafico, il viso è sfumato eppure è espressivo. Sta facendo uno sforzo per ergersi dalla melma in cui è incastrato.
Comincia a fare caldo, slaccio il primo bottone della camicia e mi piego in avanti. Non è melma, sono insetti. Milioni di insetti, formiche, o forse scarafaggi e lo trattengono, gli impediscono di librarsi.
Slaccio tre bottoni, possibile che non ci sia l’aria condizionata? Ho la bocca secca e la lingua si appiccica al palato. Prendo un respiro, mi fa male la gola.
Le ali dell’angelo non sono complete, le piume si staccano e si impastano ai capelli. No, non sono capelli, sono ragnatele, lunghi fili intessuti dal capo alle spalle.
Devo sedermi, mi fa male il petto e il costato sembra costretto in una morsa. Ancora un respiro, ma non posso espandere il torace, qualcosa mi schiaccia lo sterno, qualcosa preme e impedisce al cuore di battere come dovrebbe.
«A…» Mi lacrimano gli occhi, non riesco a parlare.
L’angelo abbassa la testa e un fischio mi esplode nelle orecchie, non c’è nessuno qui?
Le tracce di matita scompaiono e il corpo prende colore ed è pelle e carne quella che sta per uscire dal foglio, sorride e io non riesco a scappare.
Quelle ali grigie frusciano e sfregano contro la carta, la stracciano.
Mi concentro sulle mie gambe, devo spostarle, devo andarmene! Non riesco nemmeno a distogliere lo sguardo, la parete blu dietro ai pannelli sfuma in strisce di colore grasso.
L’angelo si affaccia dal foglio e mi guarda. Il mondo è sparito e ci siamo solo io e lui in questo vortice di colature acriliche. Spiega le ali e strappa la carta, si espandono, grandi e magnifiche.
Gli scarafaggi risalgono sulle sue gambe, gli entrano nella pelle, diventano la sua pelle e lo strusciare di quelle maledette zampine è più forte del fischio che mi spacca il cervello. «No!»
 
Ci sono diverse persone intorno a me, anche una guardia giurata, ho freddo e la schiena è bagnata. Batto le palpebre, mi bruciano gli occhi.
La guardia mi solleva per un braccio. «Si sente bene?»
«Io…» Il disegno è dove avrebbe sempre dovuto essere. «Non so cosa mi sia capitato.»
Alcune delle persone si allontanano, sono vivo e sono diventato meno interessante. La guardia mi sorride. «Credevo stesse per avere un infarto.»
Forse sarebbe stato meno spaventoso. «Va tutto bene, ora. Grazie.» Riesco a reggermi da solo. «Meglio che vada a casa.»
La guardia mi accompagna all’uscita, mi fischiano ancora le orecchie e il sudore mi si è gelato addosso. Prendo la prima vera boccata d’aria sulla porta. Infilo le mani in tasca.
I biglietti hanno una consistenza strana, morbida.
Apro la mano, c’è una piuma grigia.