Tocca a te

«Tocca a te» sussurrò Ditagialle.
Karloff lo squadrò per una decina di secondi con gli occhi semichiusi. La vena sul cranio squadrato pulsava. Un’ustione da radiazioni si stava espandendo sul lato sinistro del suo volto. Ditagialle pensò che se gli avesse inglobato del tutto la faccia non avrebbe fatto altro che migliorare il suo aspetto.
«Ma l’ho fatto l’ultima volta» disse Karloff con voce atona.
«Non era un bambino. L’ultimo è toccato a me.»
Karloff mise in mostra i denti consumati dalla mancanza di vitamine.
Ditagialle non si fece impressionare. Mise una mano in tasca e prese una sigaretta, che si portò alle labbra. «Fai veloce, ti aspetto qui fuori.»
Karloff estrasse un coltellaccio dalla fodera di pelle di geco e andò verso la grotta in cui avevano buttato il bambino. Doveva avere quattro o cinque anni.
Quando li avevano visti arrivare, i genitori si erano preoccupati più di raccogliere le provviste e filare via in sella a una moto sgangherata che curarsi di lui. Lo avevano lasciato in balia dei cannibali.
Ditagialle non li biasimava. Avrebbe fatto lo stesso.
Un piagnisteo provenne da dentro, ma durò poco. Karloff uscì dalla grotta con un vecchio sacco di iuta sulle spalle. Andò diretto al pick-up e sbatté il sacco nel cassone. Gli ammortizzatori sussultarono. Ditagialle diede un’occhiata alla selva di spuntoni acuminati saldati sul paraurti, poi montò alla guida. Il compare si sedette di fianco senza dire una parola. Fissava il vuoto, ma non era un fatto molto strano. Era sempre stato un po’ lento.
Ditagialle gli osservò le mani. Tremavano.
Pochi minuti dopo sfrecciavano nel deserto, diretti alla Tana.
«Stai bene?» chiese Ditagialle dopo un po’.
«Non mi piace ammazzare bambini.»
«Non piace a nessuno, all’inizio. Ma dobbiamo pur mangiare.»
Karloff si era unito al clan da qualche mese. Era grosso abbastanza da essere utile, e troppo frollato per essere mangiabile. Un buon acquisto, aveva pensato Ditagialle. Fino a quel momento.
«So che non l’hai fatto» disse dopo un po’.
Karloff lo squadrò con espressione vacua.
«Il sacco è pieno.»
«L’hai riempito con delle pietre. Non hai sangue sulle mani, le ho guardate bene. Dimmi, che pensavi di fare una volta arrivato alla Tana? Sai che non possiamo tornare a mani vuote.»
Qualcosa gli frullava in testa, ma un’espressione cupa bloccò il pensiero prima che venisse completato.
Karloff fece scattare la mano al coltello. Ditagialle lo stava tenendo sotto tiro con un piccolo ferro stretto nella sinistra da quando gli aveva visto le mani. Il proiettile batte in velocità il coltello, è una legge della natura. Il primo centrò Karloff all’avambraccio sinistro, il secondo e il terzo gli bucarono il torace. La lama ruzzolò sotto i sedili.
Uno scossone sotto le ruote gli fece quasi perdere il controllo del mezzo. Ditagialle inchiodò, scese e fece il giro. Avevano preso un sasso acuminato, uno degli pneumatici era squarciato. Karloff era ancora vivo, e lo stava guardando con occhi spenti.
«Merda» imprecò Ditagialle.
Karloff sogghignò, e con l’unico braccio sano indicò l’orizzonte.
Cinque mezzi in avvicinamento sollevavano nuvole di polvere tossica. Ditagialle riconobbe gli stemmi verde acido dei Mangiauomini del Sud. La sua bocca assunse una forma ovale, le gambe iniziarono a tremargli incontrollate.
«Sai che non possono tornare a mani vuote» sussurrò Karloff.