
«Non sono gli anni,» cita il venditore dall’ombra, «sono i chilometri.»
Qualcuno ride in risposta alle sue parole – una risata forte, che urta le orecchie, seguita da respiri affannosi.
Il cliente respinge un brivido.
Il venditore siede a una scrivania di legno grezzo, dagli angoli inusuali. Il suo volto non si distingue, ma il suo completo elegante – giacca, gilet, camicia immacolata – lo calza a pennello.
«D’accordo,» concede il cliente, «ma voglio essere preciso. A quelli come lei piace la precisione, no?» Il sudore sotto i vestiti gli si appiccica alla pelle. Vorrebbe fiondarsi sotto la doccia, a casa. Eppure, mai come ora, non intende perdere altro tempo. «Non accetto meno di venticinque anni.»
«Quelli come me?»
«Non ho che rispetto per la sua gente,» si affretta a specificare. «Anche se mi aspettavo più fiori e berretti, dalle fate.»
«La penombra cela molte creature, amico mio,» replica il venditore, sereno come una tartaruga centenaria. Il buio occulta il suo viso, ma qualcuno urta una lampada, e la luce ne disegna i contorni, coperti di pelliccia. «Alcune più vecchie della sua specie, altre plasmate dalla sua immaginazione.»
Al cliente non piace sentire le parole amico mio scivolare fuori dalla bocca dell’altro.
«Personalmente, trovo i berretti rossi piuttosto kistch, se mi perdona lo snobismo.» Un ticchettio di unghie su tasti si consuma in fretta, come un temporale estivo. «Venticinque anni, ha detto, in cui il male che consuma sua moglie attenderà alla porta.»
Il cliente annuisce. Ha la gola secca.
«Potrei applicare uno sconto per un acquisto del genere. Non lo dica in giro, però, intesi?» Di nuovo il ticchettio, e una pausa. «Lei è un uomo ricco, ho ragione?»
Il cliente sta già formulando una delle sue risposte standard – Me la cavo, o Non mi lamento –, accompagnata da una risatina colpevole. Poi ricorda chi ha davanti, e si limita a rispondere: «Sì.»
«Agricoltura?»
«Industria.»
Tre schiocchi di lingua, a intervalli regolari, poi: «Oh, d’accordo. Possiamo sempre demolire.» Il cliente si morde la lingua. «Venticinque anni, indisturbati, per ventitremila chilometri quadrati di terreno.»
Tutto il fiato abbandona i polmoni del cliente, e si unisce al fumo colorato e odoroso sospeso sotto il soffitto. Il fumo proviene da qualcuno che aspira da un vaporizzatore, poco più in là… O forse molti qualcuno. «Ventitremila…? Ci sono Stati più piccoli.»
«Lo so,» replica il venditore, «ne possiedo uno o due.»
Ventitremila. È… Tutto. Tutto quanto.
«A cosa vi serve tutta quella terra?»
«Siamo creature di sogno e interstizi, amico mio, longeve quanto fragili: inadatte a produrre materia, o trasformazione. Richiediamo i vostri figli per sopperire alla nostra sterilità, o il seme dei vostri uomini. E richiediamo terra umana per edificare.»
Il cliente riflette: sta aiutando le fate a conquistare il mondo?
Pensa a sua moglie: al sorriso sciocco che gli rivolge quando incontra i suoi occhi, alla sua cucina troppo salata. Ha già scelto.
Spinto dalla curiosità, domanda: «Che ci farete, con la mia terra?»
«Oh,» mormora il venditore. Si piega in avanti: ha occhietti neri che brillano di un’intelligenza aliena, e incisivi sporgenti su un ghigno calcolatore. Il soffice pelo bianco sembra brillare nella luce sporca del locale, come la catenella dell’orologio da taschino. «Faremo meraviglie.»