
«Allora quanto?» Pat ansimava, paonazzo per lo sforzo.
«32 secondi, 8 decimi e 3 millesimi»
«Dannazione!»
«Ancora?»
«Ancora!»
Eppure il percorso lo aveva memorizzato bene, non era possibile che ci volesse così tanto tempo.
Salire la scala, aprire la botola, iniziare a fluttuare con meno rimbalzo possibile, reggendosi ai maniglioni esterni per resistere alle onde cosmiche, arrivare allo scudo, girarlo di 45° azionando il comando d’emergenza e tornare indietro prima che la radiazione di rifrazione dello scudo stesso diventasse intollerabilmente incandescente.
«32 secondi, 8 decimi e 3 millesimi»
«Cazzo!»
«Ancora?»
«È una maledizione! Ancora!»
In ogni caso il percorso era stato ottimizzato dagli ingegneri del suo ente di ricerca, non erano certo dei pivellini, non era possibile che ci volesse così tanto tempo.
Salire la scala, aprire la botola, cercare di non fluttuare, reggersi ai maniglioni esterni, arrivare allo scudo, girarlo tornare indietro. Era tutto molto chiaro nella sua testa.
Il simulatore, però parlava ancora più chiaro.
«32 secondi, 8 decimi e 2 millesimi»
«Oh Finalmente! Bastano altri 2 millesimi Cazzo!»
«No fermo, non gioire»
«Cosa?»
«Errore dello strumento»
«Mapporca..!»
«Ancora?»
«No.»
«Come no?»
Prima che fosse possibile fermarlo Pat Salì la scala, aprì la botola, iniziò a fluttuare, quasi senza rimbalzo.
«9 secondi, 8 decimi, 3 centesimi»
Nello sguardo un bagliore, come trapezista, le onde cosmiche dovevano essere fortissime, scuotevano la sua tuta conferendogli una strana grazia eroica.
«24 secondi, 6 decimi, 34 centesimi»
Arrivò allo scudo, attivando il comando d’emergenza girò di 45° il riflettente.
«31 secondi, 8 decimi»
Si girò per tornare indietro. Già ero pronto a tirarlo dentro per chiudergli il portellone alle spalle, con in gola un «Grande! Ce l’hai fatta!» quando, senza alcun rumore, lo vidi sparire – per sempre-sorridendo come per una vittoria.
Il simulatore era starato? Errore dello strumento?
Non lo saprò prima della fine della missione o forse non lo saprò mai.
Per me il tempo si è fermato quel giorno.
Quando guardo le stelle fuori da questo vetro, su questa stazione itinerante, minuscola come un puntino, mi sembra quasi di vederlo invece che passeggia nell’infinito, prendendosi tutto il tempo del mondo.