
Aldo Vagliozzi sistemò meglio il cuscino dietro la schiena e si adagiò sul divano. Fissò per qualche istante il dipinto sulla parete, un angelo fiero che infilzava un demonio. Si era sempre chiesto come mai il dottor Canesi avesse appeso un quadro del genere nel suo studio, a lui sembrava inquietante. Robe da strizzacervelli.
«La mia vita fa schifo, dottore.» Vagliozzi taburellò le dita sullo sterno. «Mia moglie mi odia e mio figlio mi disprezza. Pensi, ieri Lilla ha lavato tutte le mie camicie bianche assieme alle sue mutande rosse. L’ha fatto di proposito, per farmi andare oggi in ufficio vestito come uno scemo. Come se trascorrere tutte le mie giornate imprigionato in un lavoro così avvilente non fosse già abbastanza. E Romolo, quell’ingordo! Passa la notte attaccato ai videogiochi ingurgitandosi tutte le mie fette biscottate, cosicché all’indomani mattina non trovo mai nulla per fare colazione. Ma non è tutto qui, dottor Canesi, certo che no. C’è anche quel mendicante che fa la questua accanto al mio portone, ogni santo giorno se ne inventa una. Pare che mi attenda al varco per potermi vessare. Mi urla contro, mi deride, mi sgambetta. Una volta, addirittura…»
«Signor Vagliozzi, la prego, prenda fiato.» La voce del dottor Canesi lo avvolse come un piumone caldo e placò ogni sua ansia. «Si fermi un minuto e rifletta. Non è forse che sta sbagliando prospettiva? Provi a cambiare punto di vista. Ci sarà qualcosa di piacevole, qualche piccolo dettaglio che rende le sue giornate degne di essere vissute. Ci pensi su.»
Aldo Vagliozzi chiuse gli occhi, rinfrancato dalla saggezza del dottore. Sì, qualcosa c’era. «La bottega del pane.» Sorrise, beato. «Ci passo accanto ogni mattina mentre pedalo verso l’ufficio. Il profumo mi mette di buon umore e la fornaia, da dietro il bancone, mi saluta sempre con la mano.»
«Eccoci», esclamò il dottor Canesi. «Proprio di questo parlavo. Si concentri su questo.»
Sì. C’era sempre qualcosa che rendeva le sue giornate degne d’essere vissute.
Aldo Vagliozzi spense la sveglia con un colpo di palmo e si issò a sedere. Aveva dormito poco e male, Romolo aveva giocato a volume altissimo fino almeno alle tre di notte. Lanciò uno sguardo sconsolato alla camicia rosa porcellino che sembrava fissarlo dalla sedia.
Fece colazione con il caffellatte senza poterci inzuppare niente, purtroppo le fette biscottate erano finite di nuovo.
Fuori dal portone lo attendeva il medicante, ridendo come un matto. All’atto di slegare la bici comprese il motivo di tale giubilo. Una cagata di mezzo chilo era ben ripartita fra il marciapiede e la ruota posteriore del suo mezzo.
Si fece forza e inforcò la bici. La bottega del pane. Invertire il punto di vista. La bottega del pane lo attendeva.
Aumentò la pedalata man mano che si avvicinava, pregustando il profumo del pane fresco di forno. La puzza di bruciato gli schiaffeggiò le narici. La fornaia doveva aver combinato un bel pasticcio!
Passò davanti alla bottega a bocca aperta, cercando di adocchiare la dolce commessa oltre il bancone. La donna incrociò il suo sguardo, aggrottò le sopracciglia e gli rivolse il dito medio.
Kanhes zompettò nervoso da uno zoccolo all’altro, in attesa del responso. Cagnazzo era ancora chino sulla scrivania ad esaminare la sua relazione.
«Vediamo se ho ben compreso.» Il demone maggiore sollevò lo sguardo dalle carte e si sistemò gli occhialetti sul naso. «Il tuo dannato, ogni settimana, si reca al tuo cospetto e ti suggerisce egli stesso come rendere più atroce il suo supplizio?»
«Esattamente, eccellenza.»
Cagnazzo chiuse il faldone con un colpo secco. «Mi congratulo. È raro al giorno d’oggi trovare un giovanotto che metta tanto estro in questo compito. Continua così e farai strada.»
Kanhes tirò un sospiro di sollievo e sorrise soddisfatto.