
Fabio entra nella stanza delle macchinette a pochi minuti dalla fine dell’intervallo, gli occhi velenosi si posano su Ginevra.
“Ehi, puttanella!” La sua voce stridula è una pugnalata; ma la verità è che ci vuole poco a lacerare il silenzio imbarazzato di quando riesco a essere da solo con lei, ché chiedere a una ragazzina come sta è molto più difficile che chiudersi in bagno e dare sfogo alla mie fantasie con le sue foto di instagram.
Mi faccio coraggio: mi volto verso di lui, lo sfido. “Fabio, non osar…”
Lui con la mano destra afferra la mia spalla e senza fatica mi scaglia contro il distributore delle merendine. “Spostati, coglione”. L’enorme cassone traballa appena, il Kit Kat incastrato nella spirale da giorni fa un passo verso il vuoto. Mi affloscio a terra come un cappotto che si sfila dall’appendiabiti. Lui passa oltre con la sua puzza di tabacco sfuso e ascelle sudate.
Ginevra ora è indifesa. “Fabio…”.
Lui alza la mano destra e le afferra il mento. “Chissà che hai fatto ieri con questa bella boccuccia, eh?”
Lei col braccio sinistro prova a spostare il tentacolo del ragazzo.
Fabio insiste. “Che c’è, zoccoletta?” Con la destra stringe ancora di più il mento di Ginevra, mentre la sinistra si insinua tra le gambe della ragazza, sfiorandole il cavallo dei jeans. “Lo so che ti piace”.
Non riesco a sopportare oltre. Mi rialzo, afferro la felpa di Fabio tra le sue scapole e strattono all’indietro. “Lasciala stare!” Non riconosco la voce stentorea che sento uscire dalla mia bocca; ma mi piace. Cazzo, se mi piace.
Fabio però non perde l’equilibrio; e anzi, si volta e fa partire un cazzotto tremendo. La faccia mi esplode, nero davanti alle pupille, ferro in bocca. Il pavimento si allontana da me, le leggi della gravitazione vengono meno, almeno finché mi schianto di nuovo contro il distributore.
Ginevra squittisce disperata. “Fermati!” Gli mette le mani addosso. “Fermati, ti prego!”
Dal pavimento vedo una luce strana negli occhi di Fabio, quasi un assurdo velo di tristezza. “Sei solo una puttana!” Poi esce.
Il Kit Kat cade nel vano del distributore con un rumore assordante, poi è il buio.
Una mano mi scuote la spalla. “Ehi!”
Apro gli occhi. La luce del neon filtra attraverso i capelli neri di Ginevra.
“Tutto bene? Sei svenuto.”
Provo a sollevarmi sui gomiti. “sì, credo di sì.”
Lei mi rivolge uno sguardo da cerbiatta ferita. “Ti ha colpito forte.”
Chiudo gli occhi un secondo, penso a una risposta intelligente. Non la trovo. “Sì, parecchio”.
Diego si affaccia alla porta con un tempismo da schermidore. “Che succede qua dentro? Oh, strano, Ginevra sdraiata con un ragazzo”. Si mette a ridere con quella sua risata sghemba da maiale, poi prosegue lungo il corridoio.
Ginevra lo ignora e mi aiuta a rialzarmi.
“Grazie”. Sono in piedi di fronte a lei, lo sguardo timoroso rivolto in basso che cerca di ignorare il suo seno. “Sono io che dovevo aiutare te”. Risollevo la testa.
Lei mi sorride. “L’hai fatto, non ti preoccupare”. Mi dà un bacio sulla guancia. Sento che mi manca il respiro. “Andiamo, dai”.
Le afferro con delicatezza il braccio sinistro. “Ginevra?”
Sembra sorpresa. “Che c’è?”
Una strana sensazione.
“Che c’è? Dimmi?”
“Perché ti lasci maltrattare così?”
Lei ha gli occhi sgranati. Sembra pensierosa, non dice niente.
“Non… non so perché ti dicano quelle cose, ma…”
“Mi lascio maltrattare perché mi piace”. Un lampo oscuro le attraversa gli occhi.
“In… in che senso?”
“Ti prego, non chiedermelo”.
“In che senso ti piace?”
“Cazzo, tu no.” Sembra davvero a disagio.
“Io no cosa?” Insisto, quasi urlando.
Lei cede. “Quel coglione di Fabio ha i puffi col videopoker”. Si sistema la camicetta dentro nei jeans. “Mentre il suo amichetto che grufola nasconde foto di bambine nel computer.”
“Non capisco. Tu… tu come lo sai?”
“Tu ti fai le seghe su di me.”
Impallidisco.
“E anche sulla prof di storia.”
Mi si gela il sangue nelle vene. Vorrei scomparire dalla faccia della Terra.
“Ma potrei anche mantenere il segreto”.
Ora ho paura. “C… cosa vuoi?”
“Dammi uno schiaffo”.