Working Class Hero

Vieni Lele, vieni da me
Spalanco gli occhi e mi siedo di soprassalto sul materasso.
Silvia è entrata di nuovo nella mia testa? Sono sicuro di averla sentita di nuovo.
Ho il respiro corto, affannato. Mi sembra di avere uno strato di muschio attaccato ai polmoni.
Sono sudatissimo, quello cattivo e acido che neanche un buon sapone può lavare via.
Il letto è un lago di sudore, un’oasi felice per la colonia di microbi che prolifera tra le pieghe delle lenzuola logore. Non le cambio da quando Silvia non c’è più.
Lascio che il dorso della mano scivoli sulla fronte e ricada pesante sul materasso. Sto perdendo il controllo, forse? Il dottore me lo aveva detto che sarebbe potuto accadere: «Emanuele, mi raccomando: una di clozapina e mezza di escilatopram al giorno. Non superare mai le quantità.»
Devo aver confuso il dosaggio. Ah, oggi le ho già prese?
Apro il cassetto del comodino, prendo le medicine e le butto giù.
 
Mi guardo intorno. La luce entra nella nostra stanza da letto attraverso i fori della tapparella abbassata. Illumina le foto appese sulla parete.
Guardo la tua preferita: indosso la tuta grigia di quando lavoravo alla fabbrica di fiammiferi, sporco di zolfo, il boccale di birra in mano. Ricordo ancora quando me la scattasti, fuori da quel pub.
Che risate, io te e la comitiva. Uno degli ultimi momenti felici prima di quella notte. Vedo ancora i fari di quell’auto schiantarsi dalla tua parte.
Chissà se ti sei resa conto, sei hai provato dolore.
Guardo ancora la fotografia. La cornice turchese dipinta da te a mano. Eri proprio un’artista.
Leggo la scritta dorata incisa sul legno. “A Lele, per sempre mio eroe.” Mi risuona in testa Working Class Hero dei Green Day che mi facevi ascoltare quando tornavo a casa dopo il turno in fabbrica.
 
Alzati Lele, ti sto aspettando
Guardo in ogni direzione, ma c’è solo casino nella stanza.
Ti ho sentita, eri tu! Adesso sono sveglio.
Non posso lasciarti entrare. Il dottore dice che le medicine scacceranno via i pensieri.
Ma continuo a sentirti: vibri nelle orecchie, vibri nel petto.
Basta, devo alzarmi. Una doccia mi farà bene.
Lascio cadere i piedi nudi a terra, le mattonelle sono gelide. Fuori è estate, dentro inverno.
Entro in doccia, giro la manopola col cerchio rosso. Il calore dell’acqua bollente sulla schiena mi dà sollievo.
 
Girati, sono qui
Sbatto la fronte sulla parete. La tua voce mi martella in testa. Mi tormenta.
Mi avvolgo nell’accappatoio.
Il vapore ha riempito la stanza. Lo specchio appannato impedisce di riflettermi. Devo essere uno straccio.
C’è una scritta al centro dello specchio, fatta con un dito.
 

    Per sempre mio eroe

 
Sudo freddo, mi guardo attorno. «Silvia, sei tu?» Non risponde. Urlo. «Dove sei?»
Vorrei disegnare un cuore sullo specchio. Invece chiudo la mano in un pugno e tutto va in frantumi. Un pezzo di vetro affilato ciondola appeso alla cornice dello specchio. Lo afferro, mi ferisco la mano. Premo la lama appuntita sulla tempia. Affonda dentro, nella carne, fino in fondo.
Possiamo riabbracciarci adesso.