Yussef

Finalmente la luce del mattino illumina la mia tenda, sono rimasto sveglio tutta la notte, a dire il vero non ricordo quando è stata l’ultima volta che sono riuscito a riposare. Quando Amala è uscita ho capito cosa dovevo fare.
Ho mandato a chiamare Yussef.
Ritarda, dovrebbe essere già qui, perché non arriva?
Finalmente lo vedo entrare:
– Non ti ho sentito arrivare.
– Non sono sicuro di aver fatto la cosa giusta venendo qui.
– Hai fatto bene, grazie amico. – dico, mentre massaggio uno degli ultimi clitoridi che ho strappato e che sto conciando, è quello di Amala.
Dolce Amala, l’ha accompagnata la nonna, ha solo chiuso gli occhi e stretto i denti. Nessun grido è uscito dalla sua bocca. Se ne è andata a testa bassa, una mano sul basso ventre, le gambe strette, zitta.
Brava, come tutte le altre.
Ma allora, perché una folla di grida continua a infestarmi in testa?
Yussef mi saluta in un inchino che sento di non meritare.
– Sapevo che saresti arrivato. – il mio sguardo indagatore lo fissa, lui tace – Ce l’hai? – chiedo alla fine.
Apre il sacchetto e tira fuori il coltello.
– Sono qui, ma non so se voglio accontentarti.
– Devi liberarmi, non ce la faccio più.
– Stai buono e prega Didlon, lui ti aiuterà.
– Cosa credi che abbia fatto finora? Ci ho provato in tutti i modi, ma le urla non se ne vanno.
– Non può essere per colpa loro, i clitoridi strappati danno energia. “Sono pezzi di anima che arricchiscono il tuo cuore, ti rendono un uomo invincibile”, è scritto nel “libro della luce” di Didlon.
– Forse per te funziona, ma per me no, l’avevo detto al capo villaggio che non ero l’uomo giusto.
– È una cosa che spetta alla nostra famiglia, è sempre stato il nostro compito, da generazioni.
– Lo so, e ho ubbidito, non mi sono tirato indietro. Per questo adesso devi fare quello che ti ho chiesto, è l’unico modo che ho per non impazzire.
Yussef scuote la testa, ma affila la lama.
Tiro giù i pantaloni, tremo, sono appiccicato di sudore, un odore pungente di latte cagliato e paura traspira dai pori.
Lui afferra i miei testicoli, il suo è un gesto veloce, un mondo di dolore che occupa tutto lo spazio nel mio cervello. Il dolore cresce così tanto che non c’è più spazio nella mia testa, anche le grida vogliono uscire. Urlo, non solo il mio, ma tutto il dolore che ho visto negli occhi delle donne che hanno sentito il freddo della mia lama. Poi diminuisce, si trasforma in sollievo. Finalmente.
La stanza adesso è in silenzio. Insieme alle grida che occupavano la stanza, anche Yussef è sparito, come nebbia evaporata dal sole. Rimango solo io, sporco di sangue. Con i miei testicoli in una mano e il coltello nell’altra.