
Generazioni che si salutano nel flusso interminabile dello scorrere del tempo. Finalista nell’Ottava Edizione della Quinta Era con Alessandro Forlani come guest star, un racconto di Canadria.
Nel 1985 aveva centosei anni ed era il più grande del mondo.
Grande nel senso di vecchio, perché era un omino di 55 chili con le spalle ricurve e lo sterno incavato e la pancia tanto molle e sottile che sembrava di potergli toccare la colonna vertebrale affondando un dito nel suo ombelico.
Nel 1899, all’alba di una nuova era, mentre passeggiava per le vie del mercato rionale, lo avvolse la stretta della solitudine e della disperazione. Un ragazzo, al suo fianco, cantava
«E’ solo obliato
da vile chi muore
al bravo soldato
al vero valor
è premio serbato
di gloria, d’onor!
E’ bella la guerra, è bella la guerra!»
Al ritmo cadenzato di quelle parole contò i suoi passi e quanti ne aveva fatti fino ad allora, non per giungere al mercato rionale di un paesino d’entroterra, ma per giungere ai suoi vent’anni in siffatta maniera.
«Ahi» si disse «arriverà per tutti la fine» e solo lo consolò che la morte avrebbe toccato indistintamente tutti, dal pescivendolo al fruttaiolo, dal comandante d’armi sino al pavido infante, e così si consolò, con la consapevolezza di un male comune, di una collettiva finitezza, di un punto ignoto d’arrivo che toccava ancora ad altri prima di lui.
A questo pensò, e comprò della verdura di stagione da bollire.
Ma nel 1985 aveva centosei anni ed era il più grande del mondo. La stretta della solitudine gli schiacciava l’ombelico sulle vertebre lombari e i polmoni sospiravano a fatica, oppressi dai fumi dell’angoscia.
Il mondo conosciuto del 1899 era tutto già morto e nessuno più di lui era ormai vicino all’ignoto.
Nel 1985 io avevo dieci anni ed amavo mio nonno per la sua forza d’animo.
Il 7 di aprile mi strinse una mano e mi disse “Avrei voluto vederti dottore”.
Quando chiuse gli occhi sentii un tentacolo viola che mi attraversava le vesti e mi perforava l’intestino e stringeva lo stomaco e la gola a una sola morsa.
«Aufh» sputai, perché mi mancava il fiato.
Com’è dura essere l’ultimo tra i ventenni del tuo mondo, com’è dura avere vent’anni ottant’anni dopo, com’è dura averne dieci e insieme centosei!