MiTo

Una società sempre più grande e opprimente. Individui che sognano di volare, via, per sempre. Un racconto di Raffaele Marra.

 
Una volta, da bambino, andai a vivere una settimana in campagna dagli zii. Il ricordo più bello che ho di quel lontano periodo sono il silenzio e il nero della notte: allargavo le braccia e correvo nella quiete di quel buio. Ed ero felice.
Mi chiamo MRR RFL 15R13 G712X e abito al trentottesimo piano di un edificio nella zona X22 di MiTo. Qui il silenzio e il buio sono stati sconfitti per sempre dalla grandiosità dell’uomo e dalla magnificenza delle sue creazioni.
MiTo è la prima tra le quattro megalopoli d’Italia ma, in confronto a essa, Tirrenia, Partenope e Apulia non sono che patetici agglomerati di gente e di case. MiTo è il mondo, è il tutto. MiTo è il respiro unisono di venti milioni di abitanti e il battito ritmico delle maggiori fabbriche del Paese.
Cammino per la strada, questa notte come tutte le altre, e lascio che i miei occhi, le mie narici e le mie orecchie siano invase dall’essenza frenetica del mio mondo. Qui la gente è sempre in moto, eternamente incastrata nella fitta trama di ingranaggi che muove il lavoro e il tempo libero con la stessa rigidezza. E non è mai notte.
«È quello che desiderava?» mi chiede l’edicolante dai capelli verdi e il velo da sposa. Controllo l’etichetta sul pacco che mi ha conservato: “Volo di notte”. Annuisco. Pago e vado via.
Percorro il cammino che porta verso la mia dimora. Evito di guardare in alto: la nebbia tra le migliaia di grattacieli, illuminata di notte, mi ha sempre fatto paura. Dai marciapiedi arriva musica che offusca altra musica, urla stridenti di piacere, imprecazioni in tutte le lingue del mondo, rumori di ferraglia e sbuffi di vapore. L’odore intenso di spezie e di incenso si alterna a quello greve dei motori surriscaldati. Per le strade di MiTo tutto è luce, ma nulla è chiarezza. Non riesco a distinguere il felice dal disperato, il giovane dall’anziano, il ricco dal povero, l’uomo dalla donna.
E, ovviamente, la notte dal giorno.
Raggiungo il mio portone, prendo l’ascensore e salgo al mio appartamento.
Apro la scatola tra le mani. Afferro due pastiglie nere e le ingoio senza esitare. In pochi istanti, il frastuono e il chiarore della città si dissolvono perdendosi chissà dove nella mia mente stanca.
Prima che tutto sia buio e silenzio, apro la vetrata e osservo MiTo dall’alto. Laggiù tutto sembra essere come quando ero bambino, in campagna dagli zii. Finalmente la luce e il rumore, quelli che penetrano di notte attraverso i muri e le finestre, quelli che ti ricordano istante dopo istante che non sei altro che uno stupido ingranaggio di una macchina troppo complessa per poterla capire si sono dileguati, almeno per un po’.
Sorrido e allargo le braccia nel vento che, per la prima volta, ha davvero il sapore dell’erba appena tagliata. Avevo dimenticato come fosse essere felici.
Salgo sul davanzale e mi rendo conto di avere le ali. Mi chiamo Raffaele e la notte è tornata.
È tutta mia e non resisterò alla voglia di tornare a volare nel suo abbraccio.

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