
Terzo classificato nel Live tenutosi dal Dragon Fest di Milazzo il 10 settembre 1016, un racconto di Jacopo Berti.
Quando la figura di lord Greenaway, altera e imponente per quanto costretta su una sedia a ruote, faceva la sua apparizione dietro la vetrata della grande serra al primo piano, le campane della chiesa parrocchiale di St. George scandivano otto rintocchi. La puntualità con cui giungeva al suo consueto osservatorio era tale che si sarebbe detto che era il campanaro ad attendere l’arrivo del nobile per aggrapparsi alla fune e compiere il suo ufficio.
Lord Greenaway si appostava tra le orchidee e le rose. Con gli occhi velati e un filo di bava alla bocca attendeva in silenzio che le nebbie ottobrine si diradassero per lasciare il posto alla più mirifica delle visioni.
Il più vicino dei draghi era di un rosso acceso, lungo quanto quattro automobili in fila e, all’altezza del possente torace, grosso più di una di esse. Riposava poco innanzi all’ingresso della tenuta, il muso appoggiato alla vecchia fontana un tempo dominata da un san Giorgio ormai disarmato e coperto di muschio.
Lord Greenaway fissava l’occhio del rettile, che a tratti, sembrava aprirsi, controllare che tutto fosse in ordine e ripiombare nel sonno. Quante volte, tanti anni fa, lui e il figlio erano saliti in groppa a Fafnir e avevano sorvolato le campagne inglesi, la camera dei lord, il porto di Londra, una mappa ai loro piedi?
«Yates, zio?». Quando Mary era entrata, lord Greenaway non aveva mosso un muscolo.
«Ehe!». Sì. Ma lo ricordava a memoria. Non ne ascoltava neanche più le parole.
«A lonely impulse of delight / Drove to this tumult in the clouds…».
Improvvisamente, il vecchio prese il campanello e cominciò ad agitarlo furiosamente, indicando il giardino, il dito puntato verso il secondo drago. Wyrm era verde smeraldo e stava seduto con portamento austero accanto al cancello della villa, sorvegliandolo come un mastino alto cinque iarde.
La giovane donna s’interruppe e fece chiamare Tom.
«Nihò-à», disse gorgogliando. Idiota. Maltrattare il giardiniere era l’unico modo che aveva per mostrargli il suo attaccamento. Indicò quelle che riteneva fossero imperfezioni nelle grandi topiarie. Il giardiniere acconsentì. Si sarebbe rimesso immediatamente al lavoro.
«E-hì». Henry.
«Sì, era il preferito di Henry», rispose Tom, guardando al terzo e ultimo drago. Ad ottobre, le sue foglie erano come scaglie di un manto dorato che copriva le ampie ali distese ai lati dell’esile corpo. Presto sarebbero cadute: di Morgana non sarebbe rimasto che uno scheletro, pronto a rivivere la primavera successiva.
«Signore?» – disse il giardiniere, interrompendo i pensieri del nobiluomo. «Questo pomeriggio arriveranno…».
All’inizio non li voleva, i bambini sfollati, ma poi, per una sorta di spirito patriottico in cui anche la memoria di suo figlio aveva una parte, aveva acconsentito.
Quando Tom gli raccontò dello stupore di Ben, Rick e Rose, della loro espressione intimorita che si mutava in meraviglia, lord Greenaway decise che sì, almeno qualcosa, potevano fare i suoi draghi contro gli orrori della Luftwaffe.
I commenti sono chiusi.