
Un viaggio verso la speranza, un destino segnato, ma finalmente libero. Quarto classificato nella Settima Edizione della Quinta Era con Alessandro Vietti come Guest Star, un racconto di Polly Russell.
Notte, notte
scendi in fretta,
vieni a soffiare sui miei occhi.
Notte, notte scendi adesso, porta lontano i rumori, dammi un riparo fino a domani.
Dovevamo fuggire. Manu arranca, ogni passo è un lamento. Gli cingo le spalle, la sabbia se ne frega e continua a far male.
«Ce la fai?» Alza lo sguardo. Gli occhi ridotti a fessure. Accenna un sorriso e riprende a camminare. Che domanda inutile, non possiamo fermarci, qui c’è solo sabbia. Grumi di muro ammassati come verruche sulla pelle ocra del mondo.
Il mare, se esiste, è lontano.
Mi sfilo il poncho e glielo poggio sulle spalle.
«Perché?» Sussurra, la macchia rossa sulla sua camicia e più grande di quanto ricordassi.
«Serve più a te.»
Ma a oriente, a oriente, c’è acqua da bere, c’è un piatto di terra e uno di sole;
a oriente c’è un sogno da fare e notti più fresche per dormire.
Vento, sabbia e oltre: il mare strade chiare, strade scure, nuvole basse da evitare.
La tempesta si è placata. Non hanno nemmeno provato a seguirci. Hanno ragione, non si sopravvive fuori senza protezioni. «Come stai?» Lui non risponde, la ferita deve fargli un male d’inferno. Lo conduco fino alla carcassa di un’utilitaria.
Apro lo sportello con un clangore stonato e lo aiuto a entrare in quello che la ruggine ha risparmiato. «Passeremo la notte qui. La Grande Acqua non può essere lontana. Non deve.»
Si morde le labbra e si stringe il fianco, del sangue cola tra le dita. «Come fai a dirlo? Non sai nemmeno se siamo nella direzione giusta.»
«Il sole tramonta sempre a ovest.»
É sudato, deve avere la febbre. La fasciatura che gli avevo fatto nella cittàbunker é una poltiglia rossa. Cambio le garze, il suo torace si alza e si abbassa in fretta. Mi stringe una coscia tra le dita.
«È una cazzata, devo riportarti indietro.»
La sua voce è un sussurro «Dove, ormai?» Ha un sussulto, e io posso solo abbracciarlo.
Non so nemmeno se l’acqua c’è davvero, magari sono solo favole da bambini. Magari ci hanno preso in giro. «Arriveremo al mare e alla Città verde, e lì ti cureranno.»
«Non importa comunque, non era vita quella che abbiamo lasciato.»
Fa freddo, lo squarcio che abbiamo fatto nell’ozono ha gridato vendetta. E l’ha avuta.
Al posto del deserto c’era una pianura, dicono. E città, e strade. E oltre: la Grande Acqua.
«Ho un problema,» sogghigna «non so nuotare.» Lo bacio e scoppio a ridere sulle sue labbra.
Trema, «Manu?»
Lo sguardo fisso oltre me.
Le sue mani scivolano dal mio grembo e l’unica cosa che mi viene in mente è una vecchia ninna nanna. Una melodia antica, nata prima della desertificazione, prima della cittàbunker, prima della dittatura, quando le cose avevano un senso. Vorrei piangere ma non ci riesco, avvicino le labbra al suo orecchio e anche se non può più sentirmi, canto.
«Ma a oriente, a oriente, c’è acqua da bere, c’è un piatto di terra e uno di sole;
a oriente, a oriente c’è un viaggio da fare e occhi di donna da incontrare.
E se non basterà il fiato per un passo e un passo ancora, avrò aria sul vestito,
avrò scarpe migliori.»