Sii preparato

Una piccola crepa in uno zombie piano perfetto. Secondo classificato nella Romero Tribute Edition, un racconto di Andrea Partiti.

 
Da anni Glauco leggeva in rete della Grande Peste in arrivo. Qualcuno la vedeva come una semplice epidemia, qualcuno come il risveglio dei morti predetto dalla Bibbia. Tutti gli esperti concordavano su un punto: la società sarebbe collassata e solo i più preparati sarebbero sopravvissuti.
YouTube era stato una grande risorsa: video di sopravvivenza, come procurarsi il cibo in natura, come usare al meglio armi e risorse non convenzionali. Glauco aveva guardato e letto ogni sorta di tutorial prendendo appunti sul suo quaderno, perfezionando il suo piano.
Aveva una lunga lista di lavori e di oggetti necessari alla sua vita da sopravvissuto. Ma gli servivano denaro e tempo che non aveva. Per il momento.
 
Lavorando sodo e vivendo in maniera frugale, investì tutti i suoi risparmi in un terreno isolato, abbastanza vicino a una città da aver accesso alle sue risorse quando ne avrebbe avuto bisogno ma ai margini dell’abitato, in modo da non restare mai bloccato o circondato.
Ogni centesimo guadagnato finì investito nel suo progetto. Scavare delle fondamenta profonde, versare il cemento, isolarlo e prepararlo. Le ditte che assumeva lo consideravano un eccentrico, forse un pazzo, ma pagava in contanti e senza tardare mai, e questo bastava per mettere a tacere ogni obiezione.
Il bunker crebbe verso l’esterno con una solida ossatura in metallo e cemento, il piano più profondo sarebbe servito da deposito, quello superiore per viverci e la casamatta in cima per difendersi. La grande porta di sicurezza dalle sbarre luccicanti faceva sentire Glauco un passo più vicino alla sua meta.
 
Mentre perfezionava il bunker lavorò anche su se stesso. Non aveva mai sparato, quindi iniziò da armi da fuoco leggere, per poi salire di calibro e potenza. Passava ogni istante libero al poligono per perfezionarsi. Non trascurò neppure il corpo a corpo e le armi da taglio: la competizione tra i sopravvissuti sarebbe stata terribile.
 
Arrivarono un generatore di corrente, con un buon numero di ricambi e un grande serbatoio di carburante. Glauco stesso montò le scaffalature nel piano interrato e le riempì con ogni sorta di cibo a lunga conservazione. Lattine di carne, frutta e verdura, barrette proteiche e integratori alimentari per quando il razionamento sarebbe stato più duro.
Non trascurò ovviamente un piano a lungo termine: attrezzi agricoli, sementi, il necessario per conservare i prodotti della terra. Una volta stabilizzata la situazione sarebbe stato il primo a offrire una realtà solida e promettente. I sopravvissuti sarebbero venuti da lui che aveva materiali e competenze.
 
Arredò spartanamente i suoi alloggi: non gli serviva molto per stare bene ed era temprato dal suo regime di vita. Aggiunse un paio di camere, perché anche se non aveva avuto grande fortuna con le donne fino a quel momento, tutto sarebbe cambiato quando l’epidemia sarebbe scoppiata. Le sue risorse l’avrebbero reso l’uomo più attraente sul mercato. Era suo dovere aiutare nella ripopolazione.
 
Per ultimo venne l’alto muro in cemento che circondava la sua proprietà, chiuso da un solido cancello.
Gli operai tornarono un’ultima volta: in pochi giorni scavarono, armarono, colarono il cemento. Il giorno successivo sarebbe stato abbastanza asciutto da smontare l’impalcatura e portare via l’attrezzatura.
Quelle mura inviolabili sarebbero state il cuore della colonia che Glauco immaginava crescere lì attorno. Le avrebbero dato il suo nome, ma avrebbe opposto resistenza per qualche anno in modo da non sembrare arrogante.
 
Glauco era estasiato. Avrebbe passato la prima notte nel suo rifugio. Per la prima notte da anni si sarebbe sentito al sicuro.
Sentì una fitta alla pancia. Doveva andare in bagno, e in fretta. Bel modo per rovinare un momento storico, pensò. Nelle sue cronache avrebbe tralasciato quel dettaglio.
Stava per aprire la pesante porta di sicurezza quando pensò che sarebbe stato stupido appestare subito il suo bunker, sin dal primo momento. Il bagno chimico era ancora nel cantiere, appena fuori dal cancello. Soddisfatto per la soluzione pratica e ingegnosa vi entrò, tirandosi alle spalle la porta di plastica arancione.
Seduto sul metallo freddo guardò con gioia dalle feritoie. Il suo rifugio. Suo.
Poi sentì il primo colpo contro la porta.
Una mano grigia spinse le dita nelle fessure, le unghie si ripiegarono all’indietro e si staccarono cadendo ai piedi di Glauco. Lanciò un urlo e i colpi aumentarono di intensità. Iniziarono i gemiti. Arrivarono altri visi grigi a bloccare la luce. Alcuni portavano ancora gli elmetti, altri erano sconosciuti. Continuavano ad arrivare.
Glauco lanciò un ultimo sguardo alla sua fortezza inviolabile. Perfetta, completa, rifornita. Quella sera avrebbe registrato il primo video del suo diario. Così inutilmente vicina. Era lui il prescelto per salvare l’umanità.
La perse di vista quando il bagno chimico prese a oscillare sotto le spinte, fino a ribaltarsi coprendolo di liquami.
Nell’urto la porta di plastica saltò via.
Le mani lo afferrarono.
Sentì il primo morso.
Merda.