
Un paradiso per un bimbo, un inferno per un adulto. Finalista nella 106° Edizione di Minuti Contati con Piero Schiavo Campo come guest star, un racconto di Marco Roncaccia.
Non ci riesco a fare il bravo.
Se vedo una porta chiusa lo devo fare.
Devo guardare nel buco della chiave.
La mamma dice che non si fa.
Io ci provo a pensare ad altro, a giocare a qualcosa, ma poi lo faccio lo stesso.
La prima volta è successo un po’ di tempo fa.
Ero più piccolo di ora e mi trovavo a casa di zia Gabriella.
Mia madre mi ci lascia spesso quando va a lavorare.
Cercavo di imparare a fare l’occhiolino.
Provavo a chiudere un occhio e a tenerne aperto un altro.
Ero arrabbiato perché mi si chiudevano tutti e due.
Allora ho deciso di tenerne uno chiuso a forza con la mano.
Una luce si è infilata in quell’altro.
Non era fortissima ma potevo vedere il raggio.
Sembrava il laser dei robot dei cartoni.
Ci ho giocato per un po’.
C’era un robot che mi sparava e io dovevo nascondermi per non farmi prendere.
Poi è arrivato il momento di passare all’attacco.
Ho messo su uno scudo spaziale e ho deciso di scovare il nemico.
Sempre con la mano in faccia ho deciso di seguire il raggio.
Ho attraversato il corridoio, che era quasi buio e mi sono trovato davanti alla porta chiusa del bagno.
Il raggio usciva da lì. Dal buco della chiave.
Quel buco era proprio davanti al mio unico occhio aperto.
Mi ci sono accostato e un soffio di aria mi ha fatto uscire una lacrima, tanto che ho dovuto chiudere e riaprire.
Ho visto una macchia rosa che non riuscivo a capire.
Poi mi sono abituato e ho potuto guardare meglio.
Dai vestiti di zia Gabriella uscivano delle cose fantastiche.
Tonde, rosa, morbide.
Apparivano e scomparivano.
Ogni volta che se ne andava lontano dalla porta pregavo Gesù che la facesse tornare di nuovo.
Mi sono sentito strano, una specie di gioia dentro.
Il mio cuore ha iniziato a battere forte, dappertutto.
Nel petto, nella testa, nella pancia e anche sotto.
Zia cantava una canzone che non conosco, ma la sua voce era bellissima insieme al rumore dell’acqua che scorreva nella vasca.
Mi è sembrato di andare in paradiso.
Cioè quando mamma mi aveva spiegato che cos’è il paradiso, non è che l’avevo capito bene.
Ma quando ho guardato nel buco della chiave sono stato subito sicuro.
Quello era il paradiso.
L’acqua ha smesso di scorrere.
Zia aveva chiuso il rubinetto.
Prima silenzio e poi di nuovo rumore d’acqua, come quando la muovo per far scappare i pesci nella fontana.
Davanti al mio occhio aperto la testa di zia Gabriella si è poggiata al bordo della vasca.
Le mani hanno tirato fuori i capelli e li ho visti scendere fino a coprire il pavimento di giallo.
Da allora, ogni volta che sono da zia Gabriella e sento la porta del bagno chiudersi, mi precipito.
Anche oggi.
Solo che stavolta ha fatto una cosa strana.
A un certo punto è passata davanti al mio occhio con in mano una puntura.
Ho sentito una cosa fredda sulla schiena e i capelli, come se volessero schizzare via dalla testa.
Io ho tanta paura delle punture!
Ho pensato che forse si è accorta che la spio e mi vuole punire.
Sono scappato via e mi sono nascosto sotto al suo letto.
Però forse mi sono sbagliato, perché zia è ancora in bagno e sento l’acqua scorrere.
Forse la puntura me la sono sognata e ora sono qui sotto invece che in paradiso.
Non ci riesco a fare il bravo.
Se c’è una porta chiusa lo devo fare.
Esco da sotto al letto e piano piano mi avvicino al bagno.
Il raggio di luce è sempre lì.
Chiudo un occhio, visto che nel frattempo ho imparato a fare l’occhiolino.
Accosto quello aperto al buco della chiave.
Zia Gabriella sta ancora facendo il bagno, i capelli sembrano d’oro e arrivano fino al pavimento.
Va tutto bene, è bella come sempre e non vuole punirmi.
Però stavolta non canta.
Ha gli occhi chiusi e un braccio steso sul bordo della vasca sul quale ha legato un laccio.