
Il serial killer è un lavoro come un altro, soprattutto a Gaverno. Finalista nella Pisa Live Edition con Federico Guerri come guest star, un racconto di Marco Cioni.
“Segnali di vita nei cortili e nelle case all’imbrunire…. Le luci fanno ricordare…. Le meccaniche recenti” ecco tutte le volte ci devo sostituire qualche parola, in un modo che potrebbe far sorridere giusto un cretinotto come me, ma alla maggior parte sembrerà solo uno sbaglio attribuibile a un baco nella memoria.
Non ricordo bene in virtù di quale meccanica recente mi trovo qui. In cima a questa torre campanaria che la quasi totalità dei passanti 48,53 metri più sotto definirebbe sbrigativamente campanile, a scrutare questa città.
Su questa città devo dirvi qualcosa di importante prima di aver finito di raccontarvi quello che sto facendo.
Lo sguardo vaga sul quartiere Brighenti, non lontano dal Duomo. C’è chi dice che al Brighenti ci sono i fricchettoni, i farabutti, i finocchi e i fannulloni.
“A Gavè sun catro efe, calitrùv nol Brighenti, ifàn caccole ‘e bisèfe, ma di sfùrs i ni fa gnenti…” recita un adagio volgare di questa città.
In lingua, Gaverno è famosa per quattro effe, le trovi tutte al Brighenti, fanno un mucchio di chiacchiere ma di fatica non ne fanno.
Torniamo a noi, ché non son qui per fare critica sociale da bar, son qui nella torre campanaria del Duomo per scegliere chi, come e soprattutto perché.
Morirà assassinato.
Chi morirà. Come morirà. E soprattutto perché morirà.
E’ un compito piuttosto importante.
Immaginate di essere lì, di passare adesso in questo momento 48,53 metri sotto il mio sguardo, sapendo che lassù qualcuno vi setaccia. Certissimamente la stragrande maggioranza si esibirebbe in gesti apotropaici di varia provenienza e coreografia.
A proposito, dovrò dirvi qualcosa di importante su questa città prima di aver finito di raccontarvi quello che sto facendo.
Il mio sguardo si posa adesso su Palazzo Serbati, vicino al mare. La Questura di Gaverno. Lì dentro lavora qualcuno che poi dovrà scoprire chi è stato. La cara Angela, la Commissaria di PS Angela Longo. A parte che non sa che sono qui, ma anche se lo sapesse non potrebbe certo farmi niente.
Mi sposto con lo sguardo verso la periferia residenziale, verso il primo dito.
Dentro quella villetta a schiera, ecco l’Ispettrice Alessandra Scotto.
Nuda.
Stringe al seno una bambina di pochi mesi. Sua figlia. Alessandra sta facendo il bagno in vasca con lei. Non è di turno stamani. Mi piace. La vice della Commissaria Longo sta acquisendo il modo di fare e di pensare della sua superiore. Prima o poi, son convinto, sarà Scotto anziché Longo a risolvere un caso.
Prima ho accennato al “primo dito”. Non vi ho ancora detto, però, che Gaverno sta su un tratto di costa adriatica nord, un pezzettino di scogli e di panchina scura che sembra nato da uno strappo. Si narra che il gigante di Gaverno, tanto tanto tempo fa, si avvicinò all’Italia uscendo dal mare. Era arrabbiato a causa degli uomini: rubavano, ammazzavano, arrostivano i bambini sulla brace, lasciavano la cacca dei loro cani sulla pubblica via. E lui, il gigante di Gaverno, poteva tollerare tutto, ma una volta gli capitò di pestare una cacca e da quel momento il destino di quelle persone fu segnato. Il gigante uscì dalle acque del mare, allungò un braccio e…VRRRRUUUUUUMMM!!!!
Terra, alberi, stradicciole, sassi, erba ma anche uomini e donne, cani e gatti, pollame e altri animali di bassa corte, insomma: tutta una fetta di territorio a forte vocazione agrituristica di futura Italia venne acciuffata dentro l’enorme mano come si fosse trattato di una abbondante porzione di polenta taragna col capriolo e tutto.
Ecco, quel titanico pugno chiuso lasciò delle piccole baie e sporgenze di terra ignuda fra mare e mare: la cosa italiana dove poi qualcuno costruì Gaverno ebbe quella forma di dita chiuse a pugno.
Il primo dito, la rientranza più a sud, attualmente è la periferia residenziale, ex zona di case popolari che poi sono state comprate, incolti produttivi che cominciarono a produrre tangenti belle grasse e unte quando si trattò di farle diventare terreno edificabile. Adesso è tutto un proliferare di villette schierate, insomma un dormitorio di lusso.
Secondo e terzo dito sono la collocazione della Gaverno che “conta”. Banche che contano soldi, uffici e agenzie che contano sfruttati col lavoro interinale, uffici pubblici fra cui la Questura (il suddetto palazzo Serbati) e la caserma del Comando Provinciale CC.
Ecco, sposto lo sguardo su una finestra della caserma. Il Capitano Peppe Usualdi sta spiegando il mestiere a un appuntato appena trasferìto, che fra pochissimi giorni forse si trasferirà nel letto del capitano. L’Usualdi non si fa scappare un’occasione che sia una. Fortuna per lui che adesso anche gli appuntati possono far parte del gentil sesso.
Conosco tutti, qui a Gaverno. Non solo. A Gaverno, il primo e più grande assassino sono io. Sono un serial killer, sul serio!
No, neanche questa è la cosa importante che avevo da dirvi sulla città.
Sono io che uccido tutti i morti ammazzati di Gaverno su cui Longo e Usualdi poi devono indagare. Questo è il mio compito, qui in città. Dunque, vediamo… Dentro quella finestra chi c’è? Mamma mia, quello se lo merita davvero. Un professore di italiano in una scuola media. Sta urlando contro sua moglie, e la povera donna lo ascolta con lo sguardo basso, aspettando il prossimo colpo sulla faccia con un tremore interno che non le fa vedere niente altro che il proprio destino. Il vigliacco gode nel prendersela con chi non si può difendere, e a me non importa nulla che da piccolo abbia assistito ai pestaggi della madre da parte del padre. Non mi importa nulla, prima o poi morirà anche lui, e male, ma non sarà il prossimo. Perché un uomo violento l’ho ucciso poco tempo fa, e ho voglia di variare un poco.
Vediamo un po’…
Ecco. Lui. Lui con lo sguardo incollato allo schermo del pc. Un ricercatore farmaceutico del Novari. L’Isituto Novari, un centro ricerche che i modernisti di oggi preferiscono etichettare come polo d’eccellenza ma che fino a venti anni fa era solo un insieme di stanze dove alcuni cervelloni facevano ricerche alle quali nessuno era interessato. Oggi ci lavorano alcuni tizi di mezza età che non sono scappati, come invece i loro figli che non riuscivano a trovare niente, fra raccomandati e baroni rampanti.
Questo ricercatore è il prossimo che ucciderò.
Come? Vedremo… Mi piace improvvisare, ma non troppo. Perché dovrà morire ammazzato proprio lui? Lo so, certamente, ma non ve lo dico, altrimenti perdereste il gusto del prossimo racconto. Comunque ho già puntato il dito su di lui. Mi spiace, caro mio, sei il prossimo. Quanti giorni ti restano? Difficile dirlo, dipende da diversi fattori.
Ecco, la mia missione qui dentro la torre campanaria di Gaverno è finita.
Per ora.
Ah, ecco, grazie di avermelo ricordato.
Dovete sapere che a Gaverno non c’è una torre campanaria alta 48,53 metri. E credo proprio che se andate a cercare Gaverno sulla costa adriatica nord non ci troviate nemmeno la città.
D’altronde, lo sappiano tutti: i più grandi, crudeli ed efferati delitti sono compiuti da chi inventa delitti.
E città.
E non ci beccano mai.