Krampuslauf

Siamo radunati nel fienile di Klaus: mi hanno spalmato la pece, ho indossato il pesante corpetto di pelliccia, faccio suonare i campanacci sulla schiena.
Soddisfatto dal rumore, rido forte, la testa che gira. Gli altri hanno le facce nere come la mia, beviamo lunghi sorsi dalla bottiglia di grappa.
Pacche sulle spalle, gesti osceni, brutte parole in tedesco, quelle che non potremmo mai dire nei giorni normali.
Klaus chiede il silenzio. Anche se lo conosco da quando è nato, quando sale sul tavolo e parla ad alta voce i suoi occhi mi fanno paura. Non è più lui. Sta per diventare diverso, cattivo.
«Ci siamo radunati qui la sera del 5 dicembre molte volte, ragazzi. Fino all’anno scorso spaventavamo i bambini con i bastoncini di betulla. Quest’anno è diverso. Dobbiamo essere il terrore puro, fargliela vedere! Che la Krampuslauf cominci!» La sua voce è aumentata di intensità, per finire in un grido.
Beve un altro lungo sorso, gli passano la maschera. Ora non c’è più, al suo posto è apparso un mostro dalle lunghe corna. L’orrenda faccia dalla bocca spalancata sembra essere forgiata nelle fiamme dell’inferno.
A turno saliamo sul tavolo, beviamo, ci trasformiamo.
Quando tocca a me, la maschera è pesante, puzza di capra. Sbatto le corna contro quelle di un compagno, due stambecchi in competizione.
Ognuno afferra una frusta. Corriamo fuori, fra sterco di vacca e fango.
 
Le persone ci guardano con un misto di paura e divertimento mentre corriamo per le strade del paese. Alcuni dei nostri amici più giovani, travestiti come noi, si limitano a urlare, ridere, correre dietro ai bambini.
Ma noi no. Sappiamo dove andare.
Loro sono a casa di Marion, vicino alla chiesa. Come sempre, la notte del 5 dicembre si trovano lì e ci guardano passare dalla finestra: tre di loro sono in terrazza, lanciano esclamazioni piene di falsa paura.
Non le degniamo di uno sguardo. Robert afferra la grande chiave che ha fatto fare a suo padre con un sotterfugio, apre la porta con un gran baccano.
Saliamo le scale di corsa, pazzi di euforia.
Le troviamo abbracciate al centro della stanza, sedicenni spaventate ma con gli sguardi maliziosi, come se avessero capito. Indossano i vestiti tradizionali della Valle, i seni strizzati dal corpetto stretto in vita. Sonia è in mezzo alle altre, i suoi capelli neri, gli occhi verdi. Sembra davvero impaurita, e mi eccito. L’erezione sembra quasi esplodere.
Gli giriamo intorno in un cerchio, frustiamo il pavimento vicino ai loro piedi, le terrorizziamo con le nostre grida infernali. Poi non ce la faccio più.
Sono il primo ad afferrare Sonia per un braccio, strattonandola. Quando fa resistenza la colpisco con la frusta, poi me la carico su una spalla, corro fuori.
Non sono l’unico. Anche gli altri arrivano, esclamano feroci dietro di me.
 
Abbiamo corso in salita, a lungo. La tiro, impaziente, non sento la fatica, solo la voglia di strapparle i vestiti, farla mia.
La malga è isolata, lontana dal paese. Per non perdere tempo, avevamo preparato le lanterne prima di travestirci.
Rallento, li lascio entrare. Aspetto che chiudano la porta, poi la spingo senza tante cerimonie fino a un gruppo di alberi. Alla luce fioca della luna la getto a terra, torreggio su di lei, facendo suonare i campanacci.
«Chi sei?» Mi chiede con il fiatone.
«Krampus. Siamo tutti Krampus. Spogliati.» Faccio schioccare la frusta, forte, una volta sola.
«Perché mi hai portato qui fuori?» Capisco che stare insieme alle altre l’avrebbe rassicurata.
Le prendo un polso, stringo forte.
«Perché voglio vederti. Spogliati, ho detto!»
Lacrime compaiono lungo le sue guance. Si mette in ginocchio, slaccia il corpetto. Quando i suoi seni compaiono, l’euforia mi abbandona, il mio respiro si ferma.
Dalla prima volta che l’ho vista entrare in classe, tre anni fa, non è cambiata molto: era una bimba insicura, arrivata da Verona in mezzo a noi montanari.
Durante le interminabili lezioni a scuola l’ho adorata da lontano, quasi senza parlarle. L’ho sognata così tante volte che sono sicuro solo di una cosa, ora che sono solo con lei: non posso farle del male, ma la desidero più di ogni altra cosa.
Quando mi avvicino, si protegge il petto con le braccia.
Smetto di essere brusco, le prendo il mento con la mano guantata, sollevo la maschera quel tanto che basta.
La bacio.
In un primo momento devo trattenerla, fa resistenza, vorrebbe scappare. Ma poi sento che si scioglie, risponde. Le piace.
Non so quanto tempo passa, minuti, ore, forse tutta la notte. Ci cerchiamo, toccandoci, il suo profumo si mescola all’odore bestiale del mio costume.
E poi dalla malga arrivano urla, risate sguaiate. I miei amici stanno scappando verso il paese. Mi chiamano.
Mi devo staccare, controvoglia. La maschera torna al suo posto. Le nostre mani si toccano in un lungo, ultimo abbraccio.
Corro via. Da domani tutto sarà normale e i Krampus che mi hanno donato il loro coraggio torneranno a dormire fino all’anno prossimo.
Forse riuscirò a baciarla un’altra volta.
Allora sono sicuro che mi riconoscerà, e potremo amarci.