
Nelle sue mani, Aleksandros stringeva la leggendaria Ammazzadraghi di Sigurt, appartenuta ai più grandi e valorosi membri delle casate dei regni uniti, pronto a mietere la sua prima vittima nella stirpe dei vanagloriosi rettili volanti.
Il pomolo, intagliato dalla rotula destra dell’ultimo elfo silvano si abbinava alla perfezione con l’intreccio di capelli di fata intessuto sull’impugnatura, sovrastata da una lucente elsa di oricalco che faceva risaltare la lama intarsiata con le magiche rune dei veggenti del nord.
Non era stato facile entrarne in possesso, i mercanti intraprendenti non si incontravano più con la stessa facilità di un tempo e le merci leggendarie erano state soggette a un importante innalzamento dei prezzi, ma grazie all’aiuto di tutto il villaggio che, grazie a una tassazione particolarmente intensa, aveva partecipato con risparmi di tutti i villici e al generoso contributo paterno, Aleksandros stringeva il tesoro inestimabile tra le mani.
E lo teneva alto e fiero, l’impugnatura incantata cinta nel guanto d’armatura, lo sguardo di sfida rivolto all’enorme dragone nero di fronte a lui.
«La tua stirpe dannata sta per subire un’altra sconfitta, bestia immonda, preparati a dire addio a questo mondo! Io, Aleksandros, porrò fine alla tua vita!»
L’enorme bestia alata si limitò ad aprire uno degli occhi, grande come il rosone di una cattedrale, e a sbirciare di sfuggita l’uomo in armatura prima di chiudere nuovamente la palpebra sospirando. L’aria rovente emessa dalle narici larghe come pozzi spinse indietro il cavaliere, facendolo capitombolare sul posteriore con un rumore di pentolame sbattuto.
«Tu! Insolente! Come osi farti beffe degli umani? Ti farò pentire di avermi sfidato!» urlò il cavaliere mentre con fatica si rotolava per sollevarsi sulle ginocchia e infine riprendere la posizione eretta.
Caricò la bestia che, grande come un castello, continuava a sonnecchiare pacifica di fronte a lui.
Il rumore di metallo sbattuto si fece sempre più intenso mentre il cavaliere prendeva velocità e si arrampicava sul muso della bestia dormiente.
Una volta giunto al centro della testa, urlò con tutta la sua furia. Gli occhi del drago si spalancarono e lo fissarono con aria perplessa, e un po’ strabica, mentre Aleksandros con movimenti eccessivi prendeva la rincorsa per affondare la sua spada rilucente.
Il fendente tagliò l’aria con un fischio, la punta della lama si conficcò esattamente sotto la scaglia bianca al centro della fronte del drago; il suo punto debole.
Le rune smisero di emanare la loro mistica aura celeste mentre la lama si staccava dall’elsa, l’oricalco dei nani scivolò via rivelando un’anima di rozza ferraglia verniciata, mentre l’impugnatura di capelli di fata si separò irrimediabilmente dalla rotula destra di elfo silvano, che rimbalzò sul muso del drago e poi sul suolo, urtando i nervi di Aleksandros a ogni sbalzo.
Il cavaliere cadde rovinosamente proprio di fronte al muso del drago, la cui visione gli diede la forza necessaria per rialzarsi e fuggire a gambe levate, certo che il nemico l’avrebbe seguito sino in capo al mondo; alle sue spalle la bestia si limitò a sorridere, mostrando una fila di denti aguzzi come spade.
Da qualche parte, un mercante contava le sue monete d’oro, ridendo per la strada.