L’abito malva

Lorena osserva l’invito con aria distante; la busta color crema spicca appena sul tavolo di marmo verde dalle venature grigie.
Lo sguardo di sua zia Doris la segue implacabile, mentre finisce di versare il caffè nelle due tazze di porcellana bavarese ornate di rose.
Il vassoio è poco lontano dalla busta e Lorena pensa che sarebbe molto facile assestare una bella gomitata alla tazza e finirla lì.
Guarda il bricco di panna e i cioccolatini allo zenzero, sentendo salire il voltastomaco, all’idea di cenare da Aldo.
La zia intuisce quello che le passa per la mente e prende in mano la busta.
«Non la leggi? Eppure è arrivata un’ora fa.»
«Cosa?» le domanda Lorena, assumendo l’aria imbambolata che tante volte le è ben riuscita al Corso di Recitazione.
«Su, avrai letto che cosa c’è scritto, R.S.V.P.» La zia, arrotando la erre, scandisce «Répondez s’il vous plaît. Fallo subito.»
Lei si alza e prende il copione che ha finto di dimenticare sul davanzale della finestra socchiusa, ne approfitta per respirare l’aria di fine maggio.
Poco lontano, c’è il parco e Lorena invidia tutta la gente impegnata a pedalare sulle bici e a portare a spasso il cane o i propri figli.
La sua mente si sofferma proprio su quell’ultima parola: figli.
Ce ne sono di diversi tipi: maltrattati, soffocati dal troppo affetto, oppure dimenticati.
Non per cattiveria: così, per indifferenza.
Lorena pensa a Aldo, in teoria suo padre, in pratica un estraneo che ogni tanto si fa vedere nella casa che divide con zia Doris, da quando sua madre è morta.
L’indifferenza di Aldo è aggravata dallo snobismo; lo stesso che si vede dall’invito che le ha mandato.
La carta è color malva.
Ora Lorena sa cosa indossare quella sera.
«Come mai mi vuole alla sua cena fredda?» domanda sospettosa alla zia «di solito mi manda l’assegno ogni ventun dicembre e solo perché glielo ricordi tu.»
E dire, che lei per quella data lo ha aspettato tante volte, a vuoto.
Al pensiero, si massaggia le braccia pensando all’aspra acqua di colonia al sandalo e ai completi severi che rendono ancora più distante la figura ascetica di Aldo, ben più del volto impassibile.
Zia Doris le rivela: «Perché sarà una delle ultime. Il tumore è maligno.»
«E lui lo sa?» indaga Lorena.
«Naturalmente. Vuole congedarsi da tutti noi.»
«Ma ci ha perduti, a cominciare da me» le ricorda lei.
«Verrai» taglia corto la zia.
 
Arrivano lì per prime.
Zia Doris non ha fatto caso alla mise della nipote; l’abito malva stile Jackie e la coda di cavallo stanno bene a Lorena e hanno un’aria così familiare.
Naturalmente, Lorena non prenderebbe mai nulla dalla stanza di sua madre; quel che c’è, è lì solo per ricordo.
Aldo si avvicina e chiede alla ragazza: «Chi sei? Ti conosco?»
Lorena gli bisbiglia: «Nessuno.»
E per Aldo è troppo tardi; i ricordi sono già morti in lui, a partire da quello di una vetrina con un abito malva.