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Quando il passato e il futuro possono essere tanto pesanti da schiacciarci, può bastare uno sguardo al presente per farci capire che c’è qualcosa per cui combattere.
Sandro fissa la tazza con sguardo perso. Ha occhi acquosi, come lo zucchero appena sciolto. I ricordi vorticano a ogni giro di cucchiaino, in pensieri sempre più piccoli risucchiati nel mulinello nero. La mente straborda, la porcellana si riga. La lingua corre a bloccare il rivolo che la sporca, si scotta, e si ritrae. Il pensiero è andato oltre, a nulla serve provare.
Ricordi.
Troppi.
Lui. Alice. L’amore che cerca una vita. La vita che nega una nascita. Odio. Impotenza. Rabbia.
Poi, la svolta. Un cuore che batte, una mano che spinge, l’esistenza prende fiato. Una, due, tre volte. Ma la terza, una vita la porta e una la prende: Alice muore.
Il conforto sul volto dei medici se n’è andato girato l’angolo, quello dei parenti ha solo aspettato il primo treno, agli amici è bastato girare faccia. Accade sempre così quando non si è il protagonista del Dramma. Ma il ruolo è suo, il copione impresso a vita negli occhi allungati della figlia, in quelle mani che non sanno trattenere, nella bocca carnosa aperta alla lingua che la bagna, spessa e secca. Il mostro si è portato via la sua parte più bella, Alice, e continua ad affondare le radici, sempre più in profondità, fino a soffocarlo.
La tazza fuma, come il sangue che gli gonfia le vene. Il cucchiaino riflette la sua immagine: è al contrario, distorta. Lo lancia contro il muro. Si afferra i capelli, li stringe. Urla. Afferra la tovaglia e la strappa al tavolo, livido in volto. La tazzina si rompe, il caffè si spande, come la disperazione che spinge dietro gli occhi. Cade sulle ginocchia. Le lacrime si mischiano al liquido scuro. Si chiude sulle cosce e dondola, impotente. Solo.
È una mano a consolarlo, gli avvolge la guancia. Non si sottrae, e lascia che quella carezza goffa smorzi il dolore. Solleva lo sguardo: anche se in una forma diversa, gli occhi di lei sono gli occhi di Alice. Le lacrime s’asciugano, la forza cresce. Dietro il corpo tozzo di Alba, Alma e Anna sono una aggrappata all’altra, gli occhi fissi sul padre. Il rimorso lo stringe nella vergogna. Allunga la mano verso il cucchiaino, lo avvicina al naso, sorride alla figlia che non avrebbe mai voluto e gli mostra il volto capovolto riflesso nell’acciaio. Non è lei il mostro.
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Sandro fissa la tazza con sguardo perso. Ha occhi acquosi, come lo zucchero appena sciolto. I ricordi vorticano a ogni giro di cucchiaino, in pensieri sempre più piccoli risucchiati nel mulinello nero. La mente straborda, la porcellana si riga. La lingua corre a bloccare il rivolo che la sporca, si scotta, e si ritrae. Il pensiero è andato oltre, a nulla serve provare.
Ricordi.
Troppi.
Lui. Alice. L’amore che cerca una vita. La vita che nega una nascita. Odio. Impotenza. Rabbia.
Poi, la svolta. Un cuore che batte, una mano che spinge, l’esistenza prende fiato. Una, due, tre volte. Ma la terza, una vita la porta e una la prende: Alice muore.
Il conforto sul volto dei medici se n’è andato girato l’angolo, quello dei parenti ha solo aspettato il primo treno, agli amici è bastato girare faccia. Accade sempre così quando non si è il protagonista del Dramma. Ma il ruolo è suo, il copione impresso a vita negli occhi allungati della figlia, in quelle mani che non sanno trattenere, nella bocca carnosa aperta alla lingua che la bagna, spessa e secca. Il mostro si è portato via la sua parte più bella, Alice, e continua ad affondare le radici, sempre più in profondità, fino a soffocarlo.
La tazza fuma, come il sangue che gli gonfia le vene. Il cucchiaino riflette la sua immagine: è al contrario, distorta. Lo lancia contro il muro. Si afferra i capelli, li stringe. Urla. Afferra la tovaglia e la strappa al tavolo, livido in volto. La tazzina si rompe, il caffè si spande, come la disperazione che spinge dietro gli occhi. Cade sulle ginocchia. Le lacrime si mischiano al liquido scuro. Si chiude sulle cosce e dondola, impotente. Solo.
È una mano a consolarlo, gli avvolge la guancia. Non si sottrae, e lascia che quella carezza goffa smorzi il dolore. Solleva lo sguardo: anche se in una forma diversa, gli occhi di lei sono gli occhi di Alice. Le lacrime s’asciugano, la forza cresce. Dietro il corpo tozzo di Alba, Alma e Anna sono una aggrappata all’altra, gli occhi fissi sul padre. Il rimorso lo stringe nella vergogna. Allunga la mano verso il cucchiaino, lo avvicina al naso, sorride alla figlia che non avrebbe mai voluto e gli mostra il volto capovolto riflesso nell’acciaio. Non è lei il mostro.
Sandro fissa la tazza con sguardo perso. Ha occhi acquosi, come lo zucchero appena sciolto. I ricordi vorticano a ogni giro di cucchiaino, in pensieri sempre più piccoli risucchiati nel mulinello nero. La mente straborda, la porcellana si riga. La lingua corre a bloccare il rivolo che la sporca, si scotta, e si ritrae. Il pensiero è andato oltre, a nulla serve provare.
Ricordi.
Troppi.
Lui. Alice. L’amore che cerca una vita. La vita che nega una nascita. Odio. Impotenza. Rabbia.
Poi, la svolta. Un cuore che batte, una mano che spinge, l’esistenza prende fiato. Una, due, tre volte. Ma la terza, una vita la porta e una la prende: Alice muore.
Il conforto sul volto dei medici se n’è andato girato l’angolo, quello dei parenti ha solo aspettato il primo treno, agli amici è bastato girare faccia. Accade sempre così quando non si è il protagonista del Dramma. Ma il ruolo è suo, il copione impresso a vita negli occhi allungati della figlia, in quelle mani che non sanno trattenere, nella bocca carnosa aperta alla lingua che la bagna, spessa e secca. Il mostro si è portato via la sua parte più bella, Alice, e continua ad affondare le radici, sempre più in profondità, fino a soffocarlo.
La tazza fuma, come il sangue che gli gonfia le vene. Il cucchiaino riflette la sua immagine: è al contrario, distorta. Lo lancia contro il muro. Si afferra i capelli, li stringe. Urla. Afferra la tovaglia e la strappa al tavolo, livido in volto. La tazzina si rompe, il caffè si spande, come la disperazione che spinge dietro gli occhi. Cade sulle ginocchia. Le lacrime si mischiano al liquido scuro. Si chiude sulle cosce e dondola, impotente. Solo.
È una mano a consolarlo, gli avvolge la guancia. Non si sottrae, e lascia che quella carezza goffa smorzi il dolore. Solleva lo sguardo: anche se in una forma diversa, gli occhi di lei sono gli occhi di Alice. Le lacrime s’asciugano, la forza cresce. Dietro il corpo tozzo di Alba, Alma e Anna sono una aggrappata all’altra, gli occhi fissi sul padre. Il rimorso lo stringe nella vergogna. Allunga la mano verso il cucchiaino, lo avvicina al naso, sorride alla figlia che non avrebbe mai voluto e gli mostra il volto capovolto riflesso nell’acciaio. Non è lei il mostro.
Sandro fissa la tazza con sguardo perso. Ha occhi acquosi, come lo zucchero appena sciolto. I ricordi vorticano a ogni giro di cucchiaino, in pensieri sempre più piccoli risucchiati nel mulinello nero. La mente straborda, la porcellana si riga. La lingua corre a bloccare il rivolo che la sporca, si scotta, e si ritrae. Il pensiero è andato oltre, a nulla serve provare.
Ricordi.
Troppi.
Lui. Alice. L’amore che cerca una vita. La vita che nega una nascita. Odio. Impotenza. Rabbia.
Poi, la svolta. Un cuore che batte, una mano che spinge, l’esistenza prende fiato. Una, due, tre volte. Ma la terza, una vita la porta e una la prende: Alice muore.
Il conforto sul volto dei medici se n’è andato girato l’angolo, quello dei parenti ha solo aspettato il primo treno, agli amici è bastato girare faccia. Accade sempre così quando non si è il protagonista del Dramma. Ma il ruolo è suo, il copione impresso a vita negli occhi allungati della figlia, in quelle mani che non sanno trattenere, nella bocca carnosa aperta alla lingua che la bagna, spessa e secca. Il mostro si è portato via la sua parte più bella, Alice, e continua ad affondare le radici, sempre più in profondità, fino a soffocarlo.
La tazza fuma, come il sangue che gli gonfia le vene. Il cucchiaino riflette la sua immagine: è al contrario, distorta. Lo lancia contro il muro. Si afferra i capelli, li stringe. Urla. Afferra la tovaglia e la strappa al tavolo, livido in volto. La tazzina si rompe, il caffè si spande, come la disperazione che spinge dietro gli occhi. Cade sulle ginocchia. Le lacrime si mischiano al liquido scuro. Si chiude sulle cosce e dondola, impotente. Solo.
È una mano a consolarlo, gli avvolge la guancia. Non si sottrae, e lascia che quella carezza goffa smorzi il dolore. Solleva lo sguardo: anche se in una forma diversa, gli occhi di lei sono gli occhi di Alice. Le lacrime s’asciugano, la forza cresce. Dietro il corpo tozzo di Alba, Alma e Anna sono una aggrappata all’altra, gli occhi fissi sul padre. Il rimorso lo stringe nella vergogna. Allunga la mano verso il cucchiaino, lo avvicina al naso, sorride alla figlia che non avrebbe mai voluto e gli mostra il volto capovolto riflesso nell’acciaio. Non è lei il mostro.
Sandro fissa la tazza con sguardo perso. Ha occhi acquosi, come lo zucchero appena sciolto. I ricordi vorticano a ogni giro di cucchiaino, in pensieri sempre più piccoli risucchiati nel mulinello nero. La mente straborda, la porcellana si riga. La lingua corre a bloccare il rivolo che la sporca, si scotta, e si ritrae. Il pensiero è andato oltre, a nulla serve provare.
Ricordi.
Troppi.
Lui. Alice. L’amore che cerca una vita. La vita che nega una nascita. Odio. Impotenza. Rabbia.
Poi, la svolta. Un cuore che batte, una mano che spinge, l’esistenza prende fiato. Una, due, tre volte. Ma la terza, una vita la porta e una la prende: Alice muore.
Il conforto sul volto dei medici se n’è andato girato l’angolo, quello dei parenti ha solo aspettato il primo treno, agli amici è bastato girare faccia. Accade sempre così quando non si è il protagonista del Dramma. Ma il ruolo è suo, il copione impresso a vita negli occhi allungati della figlia, in quelle mani che non sanno trattenere, nella bocca carnosa aperta alla lingua che la bagna, spessa e secca. Il mostro si è portato via la sua parte più bella, Alice, e continua ad affondare le radici, sempre più in profondità, fino a soffocarlo.
La tazza fuma, come il sangue che gli gonfia le vene. Il cucchiaino riflette la sua immagine: è al contrario, distorta. Lo lancia contro il muro. Si afferra i capelli, li stringe. Urla. Afferra la tovaglia e la strappa al tavolo, livido in volto. La tazzina si rompe, il caffè si spande, come la disperazione che spinge dietro gli occhi. Cade sulle ginocchia. Le lacrime si mischiano al liquido scuro. Si chiude sulle cosce e dondola, impotente. Solo.
È una mano a consolarlo, gli avvolge la guancia. Non si sottrae, e lascia che quella carezza goffa smorzi il dolore. Solleva lo sguardo: anche se in una forma diversa, gli occhi di lei sono gli occhi di Alice. Le lacrime s’asciugano, la forza cresce. Dietro il corpo tozzo di Alba, Alma e Anna sono una aggrappata all’altra, gli occhi fissi sul padre. Il rimorso lo stringe nella vergogna. Allunga la mano verso il cucchiaino, lo avvicina al naso, sorride alla figlia che non avrebbe mai voluto e gli mostra il volto capovolto riflesso nell’acciaio. Non è lei il mostro.
Sandro fissa la tazza con sguardo perso. Ha occhi acquosi, come lo zucchero appena sciolto. I ricordi vorticano a ogni giro di cucchiaino, in pensieri sempre più piccoli risucchiati nel mulinello nero. La mente straborda, la porcellana si riga. La lingua corre a bloccare il rivolo che la sporca, si scotta, e si ritrae. Il pensiero è andato oltre, a nulla serve provare.
Ricordi.
Troppi.
Lui. Alice. L’amore che cerca una vita. La vita che nega una nascita. Odio. Impotenza. Rabbia.
Poi, la svolta. Un cuore che batte, una mano che spinge, l’esistenza prende fiato. Una, due, tre volte. Ma la terza, una vita la porta e una la prende: Alice muore.
Il conforto sul volto dei medici se n’è andato girato l’angolo, quello dei parenti ha solo aspettato il primo treno, agli amici è bastato girare faccia. Accade sempre così quando non si è il protagonista del Dramma. Ma il ruolo è suo, il copione impresso a vita negli occhi allungati della figlia, in quelle mani che non sanno trattenere, nella bocca carnosa aperta alla lingua che la bagna, spessa e secca. Il mostro si è portato via la sua parte più bella, Alice, e continua ad affondare le radici, sempre più in profondità, fino a soffocarlo.
La tazza fuma, come il sangue che gli gonfia le vene. Il cucchiaino riflette la sua immagine: è al contrario, distorta. Lo lancia contro il muro. Si afferra i capelli, li stringe. Urla. Afferra la tovaglia e la strappa al tavolo, livido in volto. La tazzina si rompe, il caffè si spande, come la disperazione che spinge dietro gli occhi. Cade sulle ginocchia. Le lacrime si mischiano al liquido scuro. Si chiude sulle cosce e dondola, impotente. Solo.
È una mano a consolarlo, gli avvolge la guancia. Non si sottrae, e lascia che quella carezza goffa smorzi il dolore. Solleva lo sguardo: anche se in una forma diversa, gli occhi di lei sono gli occhi di Alice. Le lacrime s’asciugano, la forza cresce. Dietro il corpo tozzo di Alba, Alma e Anna sono una aggrappata all’altra, gli occhi fissi sul padre. Il rimorso lo stringe nella vergogna. Allunga la mano verso il cucchiaino, lo avvicina al naso, sorride alla figlia che non avrebbe mai voluto e gli mostra il volto capovolto riflesso nell’acciaio. Non è lei il mostro.
Sandro fissa la tazza con sguardo perso. Ha occhi acquosi, come lo zucchero appena sciolto. I ricordi vorticano a ogni giro di cucchiaino, in pensieri sempre più piccoli risucchiati nel mulinello nero. La mente straborda, la porcellana si riga. La lingua corre a bloccare il rivolo che la sporca, si scotta, e si ritrae. Il pensiero è andato oltre, a nulla serve provare.
Ricordi.
Troppi.
Lui. Alice. L’amore che cerca una vita. La vita che nega una nascita. Odio. Impotenza. Rabbia.
Poi, la svolta. Un cuore che batte, una mano che spinge, l’esistenza prende fiato. Una, due, tre volte. Ma la terza, una vita la porta e una la prende: Alice muore.
Il conforto sul volto dei medici se n’è andato girato l’angolo, quello dei parenti ha solo aspettato il primo treno, agli amici è bastato girare faccia. Accade sempre così quando non si è il protagonista del Dramma. Ma il ruolo è suo, il copione impresso a vita negli occhi allungati della figlia, in quelle mani che non sanno trattenere, nella bocca carnosa aperta alla lingua che la bagna, spessa e secca. Il mostro si è portato via la sua parte più bella, Alice, e continua ad affondare le radici, sempre più in profondità, fino a soffocarlo.
La tazza fuma, come il sangue che gli gonfia le vene. Il cucchiaino riflette la sua immagine: è al contrario, distorta. Lo lancia contro il muro. Si afferra i capelli, li stringe. Urla. Afferra la tovaglia e la strappa al tavolo, livido in volto. La tazzina si rompe, il caffè si spande, come la disperazione che spinge dietro gli occhi. Cade sulle ginocchia. Le lacrime si mischiano al liquido scuro. Si chiude sulle cosce e dondola, impotente. Solo.
È una mano a consolarlo, gli avvolge la guancia. Non si sottrae, e lascia che quella carezza goffa smorzi il dolore. Solleva lo sguardo: anche se in una forma diversa, gli occhi di lei sono gli occhi di Alice. Le lacrime s’asciugano, la forza cresce. Dietro il corpo tozzo di Alba, Alma e Anna sono una aggrappata all’altra, gli occhi fissi sul padre. Il rimorso lo stringe nella vergogna. Allunga la mano verso il cucchiaino, lo avvicina al naso, sorride alla figlia che non avrebbe mai voluto e gli mostra il volto capovolto riflesso nell’acciaio. Non è lei il mostro.
Sandro fissa la tazza con sguardo perso. Ha occhi acquosi, come lo zucchero appena sciolto. I ricordi vorticano a ogni giro di cucchiaino, in pensieri sempre più piccoli risucchiati nel mulinello nero. La mente straborda, la porcellana si riga. La lingua corre a bloccare il rivolo che la sporca, si scotta, e si ritrae. Il pensiero è andato oltre, a nulla serve provare.
Ricordi.
Troppi.
Lui. Alice. L’amore che cerca una vita. La vita che nega una nascita. Odio. Impotenza. Rabbia.
Poi, la svolta. Un cuore che batte, una mano che spinge, l’esistenza prende fiato. Una, due, tre volte. Ma la terza, una vita la porta e una la prende: Alice muore.
Il conforto sul volto dei medici se n’è andato girato l’angolo, quello dei parenti ha solo aspettato il primo treno, agli amici è bastato girare faccia. Accade sempre così quando non si è il protagonista del Dramma. Ma il ruolo è suo, il copione impresso a vita negli occhi allungati della figlia, in quelle mani che non sanno trattenere, nella bocca carnosa aperta alla lingua che la bagna, spessa e secca. Il mostro si è portato via la sua parte più bella, Alice, e continua ad affondare le radici, sempre più in profondità, fino a soffocarlo.
La tazza fuma, come il sangue che gli gonfia le vene. Il cucchiaino riflette la sua immagine: è al contrario, distorta. Lo lancia contro il muro. Si afferra i capelli, li stringe. Urla. Afferra la tovaglia e la strappa al tavolo, livido in volto. La tazzina si rompe, il caffè si spande, come la disperazione che spinge dietro gli occhi. Cade sulle ginocchia. Le lacrime si mischiano al liquido scuro. Si chiude sulle cosce e dondola, impotente. Solo.
È una mano a consolarlo, gli avvolge la guancia. Non si sottrae, e lascia che quella carezza goffa smorzi il dolore. Solleva lo sguardo: anche se in una forma diversa, gli occhi di lei sono gli occhi di Alice. Le lacrime s’asciugano, la forza cresce. Dietro il corpo tozzo di Alba, Alma e Anna sono una aggrappata all’altra, gli occhi fissi sul padre. Il rimorso lo stringe nella vergogna. Allunga la mano verso il cucchiaino, lo avvicina al naso, sorride alla figlia che non avrebbe mai voluto e gli mostra il volto capovolto riflesso nell’acciaio. Non è lei il mostro.
Sandro fissa la tazza con sguardo perso. Ha occhi acquosi, come lo zucchero appena sciolto. I ricordi vorticano a ogni giro di cucchiaino, in pensieri sempre più piccoli risucchiati nel mulinello nero. La mente straborda, la porcellana si riga. La lingua corre a bloccare il rivolo che la sporca, si scotta, e si ritrae. Il pensiero è andato oltre, a nulla serve provare.
Ricordi.
Troppi.
Lui. Alice. L’amore che cerca una vita. La vita che nega una nascita. Odio. Impotenza. Rabbia.
Poi, la svolta. Un cuore che batte, una mano che spinge, l’esistenza prende fiato. Una, due, tre volte. Ma la terza, una vita la porta e una la prende: Alice muore.
Il conforto sul volto dei medici se n’è andato girato l’angolo, quello dei parenti ha solo aspettato il primo treno, agli amici è bastato girare faccia. Accade sempre così quando non si è il protagonista del Dramma. Ma il ruolo è suo, il copione impresso a vita negli occhi allungati della figlia, in quelle mani che non sanno trattenere, nella bocca carnosa aperta alla lingua che la bagna, spessa e secca. Il mostro si è portato via la sua parte più bella, Alice, e continua ad affondare le radici, sempre più in profondità, fino a soffocarlo.
La tazza fuma, come il sangue che gli gonfia le vene. Il cucchiaino riflette la sua immagine: è al contrario, distorta. Lo lancia contro il muro. Si afferra i capelli, li stringe. Urla. Afferra la tovaglia e la strappa al tavolo, livido in volto. La tazzina si rompe, il caffè si spande, come la disperazione che spinge dietro gli occhi. Cade sulle ginocchia. Le lacrime si mischiano al liquido scuro. Si chiude sulle cosce e dondola, impotente. Solo.
È una mano a consolarlo, gli avvolge la guancia. Non si sottrae, e lascia che quella carezza goffa smorzi il dolore. Solleva lo sguardo: anche se in una forma diversa, gli occhi di lei sono gli occhi di Alice. Le lacrime s’asciugano, la forza cresce. Dietro il corpo tozzo di Alba, Alma e Anna sono una aggrappata all’altra, gli occhi fissi sul padre. Il rimorso lo stringe nella vergogna. Allunga la mano verso il cucchiaino, lo avvicina al naso, sorride alla figlia che non avrebbe mai voluto e gli mostra il volto capovolto riflesso nell’acciaio. Non è lei il mostro.
Sandro fissa la tazza con sguardo perso. Ha occhi acquosi, come lo zucchero appena sciolto. I ricordi vorticano a ogni giro di cucchiaino, in pensieri sempre più piccoli risucchiati nel mulinello nero. La mente straborda, la porcellana si riga. La lingua corre a bloccare il rivolo che la sporca, si scotta, e si ritrae. Il pensiero è andato oltre, a nulla serve provare.
Ricordi.
Troppi.
Lui. Alice. L’amore che cerca una vita. La vita che nega una nascita. Odio. Impotenza. Rabbia.
Poi, la svolta. Un cuore che batte, una mano che spinge, l’esistenza prende fiato. Una, due, tre volte. Ma la terza, una vita la porta e una la prende: Alice muore.
Il conforto sul volto dei medici se n’è andato girato l’angolo, quello dei parenti ha solo aspettato il primo treno, agli amici è bastato girare faccia. Accade sempre così quando non si è il protagonista del Dramma. Ma il ruolo è suo, il copione impresso a vita negli occhi allungati della figlia, in quelle mani che non sanno trattenere, nella bocca carnosa aperta alla lingua che la bagna, spessa e secca. Il mostro si è portato via la sua parte più bella, Alice, e continua ad affondare le radici, sempre più in profondità, fino a soffocarlo.
La tazza fuma, come il sangue che gli gonfia le vene. Il cucchiaino riflette la sua immagine: è al contrario, distorta. Lo lancia contro il muro. Si afferra i capelli, li stringe. Urla. Afferra la tovaglia e la strappa al tavolo, livido in volto. La tazzina si rompe, il caffè si spande, come la disperazione che spinge dietro gli occhi. Cade sulle ginocchia. Le lacrime si mischiano al liquido scuro. Si chiude sulle cosce e dondola, impotente. Solo.
È una mano a consolarlo, gli avvolge la guancia. Non si sottrae, e lascia che quella carezza goffa smorzi il dolore. Solleva lo sguardo: anche se in una forma diversa, gli occhi di lei sono gli occhi di Alice. Le lacrime s’asciugano, la forza cresce. Dietro il corpo tozzo di Alba, Alma e Anna sono una aggrappata all’altra, gli occhi fissi sul padre. Il rimorso lo stringe nella vergogna. Allunga la mano verso il cucchiaino, lo avvicina al naso, sorride alla figlia che non avrebbe mai voluto e gli mostra il volto capovolto riflesso nell’acciaio. Non è lei il mostro.
Sandro fissa la tazza con sguardo perso. Ha occhi acquosi, come lo zucchero appena sciolto. I ricordi vorticano a ogni giro di cucchiaino, in pensieri sempre più piccoli risucchiati nel mulinello nero. La mente straborda, la porcellana si riga. La lingua corre a bloccare il rivolo che la sporca, si scotta, e si ritrae. Il pensiero è andato oltre, a nulla serve provare.
Ricordi.
Troppi.
Lui. Alice. L’amore che cerca una vita. La vita che nega una nascita. Odio. Impotenza. Rabbia.
Poi, la svolta. Un cuore che batte, una mano che spinge, l’esistenza prende fiato. Una, due, tre volte. Ma la terza, una vita la porta e una la prende: Alice muore.
Il conforto sul volto dei medici se n’è andato girato l’angolo, quello dei parenti ha solo aspettato il primo treno, agli amici è bastato girare faccia. Accade sempre così quando non si è il protagonista del Dramma. Ma il ruolo è suo, il copione impresso a vita negli occhi allungati della figlia, in quelle mani che non sanno trattenere, nella bocca carnosa aperta alla lingua che la bagna, spessa e secca. Il mostro si è portato via la sua parte più bella, Alice, e continua ad affondare le radici, sempre più in profondità, fino a soffocarlo.
La tazza fuma, come il sangue che gli gonfia le vene. Il cucchiaino riflette la sua immagine: è al contrario, distorta. Lo lancia contro il muro. Si afferra i capelli, li stringe. Urla. Afferra la tovaglia e la strappa al tavolo, livido in volto. La tazzina si rompe, il caffè si spande, come la disperazione che spinge dietro gli occhi. Cade sulle ginocchia. Le lacrime si mischiano al liquido scuro. Si chiude sulle cosce e dondola, impotente. Solo.
È una mano a consolarlo, gli avvolge la guancia. Non si sottrae, e lascia che quella carezza goffa smorzi il dolore. Solleva lo sguardo: anche se in una forma diversa, gli occhi di lei sono gli occhi di Alice. Le lacrime s’asciugano, la forza cresce. Dietro il corpo tozzo di Alba, Alma e Anna sono una aggrappata all’altra, gli occhi fissi sul padre. Il rimorso lo stringe nella vergogna. Allunga la mano verso il cucchiaino, lo avvicina al naso, sorride alla figlia che non avrebbe mai voluto e gli mostra il volto capovolto riflesso nell’acciaio. Non è lei il mostro.
Sandro fissa la tazza con sguardo perso. Ha occhi acquosi, come lo zucchero appena sciolto. I ricordi vorticano a ogni giro di cucchiaino, in pensieri sempre più piccoli risucchiati nel mulinello nero. La mente straborda, la porcellana si riga. La lingua corre a bloccare il rivolo che la sporca, si scotta, e si ritrae. Il pensiero è andato oltre, a nulla serve provare.
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Troppi.
Lui. Alice. L’amore che cerca una vita. La vita che nega una nascita. Odio. Impotenza. Rabbia.
Poi, la svolta. Un cuore che batte, una mano che spinge, l’esistenza prende fiato. Una, due, tre volte. Ma la terza, una vita la porta e una la prende: Alice muore.
Il conforto sul volto dei medici se n’è andato girato l’angolo, quello dei parenti ha solo aspettato il primo treno, agli amici è bastato girare faccia. Accade sempre così quando non si è il protagonista del Dramma. Ma il ruolo è suo, il copione impresso a vita negli occhi allungati della figlia, in quelle mani che non sanno trattenere, nella bocca carnosa aperta alla lingua che la bagna, spessa e secca. Il mostro si è portato via la sua parte più bella, Alice, e continua ad affondare le radici, sempre più in profondità, fino a soffocarlo.
La tazza fuma, come il sangue che gli gonfia le vene. Il cucchiaino riflette la sua immagine: è al contrario, distorta. Lo lancia contro il muro. Si afferra i capelli, li stringe. Urla. Afferra la tovaglia e la strappa al tavolo, livido in volto. La tazzina si rompe, il caffè si spande, come la disperazione che spinge dietro gli occhi. Cade sulle ginocchia. Le lacrime si mischiano al liquido scuro. Si chiude sulle cosce e dondola, impotente. Solo.
È una mano a consolarlo, gli avvolge la guancia. Non si sottrae, e lascia che quella carezza goffa smorzi il dolore. Solleva lo sguardo: anche se in una forma diversa, gli occhi di lei sono gli occhi di Alice. Le lacrime s’asciugano, la forza cresce. Dietro il corpo tozzo di Alba, Alma e Anna sono una aggrappata all’altra, gli occhi fissi sul padre. Il rimorso lo stringe nella vergogna. Allunga la mano verso il cucchiaino, lo avvicina al naso, sorride alla figlia che non avrebbe mai voluto e gli mostra il volto capovolto riflesso nell’acciaio. Non è lei il mostro.
Sandro fissa la tazza con sguardo perso. Ha occhi acquosi, come lo zucchero appena sciolto. I ricordi vorticano a ogni giro di cucchiaino, in pensieri sempre più piccoli risucchiati nel mulinello nero. La mente straborda, la porcellana si riga. La lingua corre a bloccare il rivolo che la sporca, si scotta, e si ritrae. Il pensiero è andato oltre, a nulla serve provare.
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Troppi.
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Il conforto sul volto dei medici se n’è andato girato l’angolo, quello dei parenti ha solo aspettato il primo treno, agli amici è bastato girare faccia. Accade sempre così quando non si è il protagonista del Dramma. Ma il ruolo è suo, il copione impresso a vita negli occhi allungati della figlia, in quelle mani che non sanno trattenere, nella bocca carnosa aperta alla lingua che la bagna, spessa e secca. Il mostro si è portato via la sua parte più bella, Alice, e continua ad affondare le radici, sempre più in profondità, fino a soffocarlo.
La tazza fuma, come il sangue che gli gonfia le vene. Il cucchiaino riflette la sua immagine: è al contrario, distorta. Lo lancia contro il muro. Si afferra i capelli, li stringe. Urla. Afferra la tovaglia e la strappa al tavolo, livido in volto. La tazzina si rompe, il caffè si spande, come la disperazione che spinge dietro gli occhi. Cade sulle ginocchia. Le lacrime si mischiano al liquido scuro. Si chiude sulle cosce e dondola, impotente. Solo.
È una mano a consolarlo, gli avvolge la guancia. Non si sottrae, e lascia che quella carezza goffa smorzi il dolore. Solleva lo sguardo: anche se in una forma diversa, gli occhi di lei sono gli occhi di Alice. Le lacrime s’asciugano, la forza cresce. Dietro il corpo tozzo di Alba, Alma e Anna sono una aggrappata all’altra, gli occhi fissi sul padre. Il rimorso lo stringe nella vergogna. Allunga la mano verso il cucchiaino, lo avvicina al naso, sorride alla figlia che non avrebbe mai voluto e gli mostra il volto capovolto riflesso nell’acciaio. Non è lei il mostro.
Sandro fissa la tazza con sguardo perso. Ha occhi acquosi, come lo zucchero appena sciolto. I ricordi vorticano a ogni giro di cucchiaino, in pensieri sempre più piccoli risucchiati nel mulinello nero. La mente straborda, la porcellana si riga. La lingua corre a bloccare il rivolo che la sporca, si scotta, e si ritrae. Il pensiero è andato oltre, a nulla serve provare.
Ricordi.
Troppi.
Lui. Alice. L’amore che cerca una vita. La vita che nega una nascita. Odio. Impotenza. Rabbia.
Poi, la svolta. Un cuore che batte, una mano che spinge, l’esistenza prende fiato. Una, due, tre volte. Ma la terza, una vita la porta e una la prende: Alice muore.
Il conforto sul volto dei medici se n’è andato girato l’angolo, quello dei parenti ha solo aspettato il primo treno, agli amici è bastato girare faccia. Accade sempre così quando non si è il protagonista del Dramma. Ma il ruolo è suo, il copione impresso a vita negli occhi allungati della figlia, in quelle mani che non sanno trattenere, nella bocca carnosa aperta alla lingua che la bagna, spessa e secca. Il mostro si è portato via la sua parte più bella, Alice, e continua ad affondare le radici, sempre più in profondità, fino a soffocarlo.
La tazza fuma, come il sangue che gli gonfia le vene. Il cucchiaino riflette la sua immagine: è al contrario, distorta. Lo lancia contro il muro. Si afferra i capelli, li stringe. Urla. Afferra la tovaglia e la strappa al tavolo, livido in volto. La tazzina si rompe, il caffè si spande, come la disperazione che spinge dietro gli occhi. Cade sulle ginocchia. Le lacrime si mischiano al liquido scuro. Si chiude sulle cosce e dondola, impotente. Solo.
È una mano a consolarlo, gli avvolge la guancia. Non si sottrae, e lascia che quella carezza goffa smorzi il dolore. Solleva lo sguardo: anche se in una forma diversa, gli occhi di lei sono gli occhi di Alice. Le lacrime s’asciugano, la forza cresce. Dietro il corpo tozzo di Alba, Alma e Anna sono una aggrappata all’altra, gli occhi fissi sul padre. Il rimorso lo stringe nella vergogna. Allunga la mano verso il cucchiaino, lo avvicina al naso, sorride alla figlia che non avrebbe mai voluto e gli mostra il volto capovolto riflesso nell’acciaio. Non è lei il mostro.
Sandro fissa la tazza con sguardo perso. Ha occhi acquosi, come lo zucchero appena sciolto. I ricordi vorticano a ogni giro di cucchiaino, in pensieri sempre più piccoli risucchiati nel mulinello nero. La mente straborda, la porcellana si riga. La lingua corre a bloccare il rivolo che la sporca, si scotta, e si ritrae. Il pensiero è andato oltre, a nulla serve provare.
Ricordi.
Troppi.
Lui. Alice. L’amore che cerca una vita. La vita che nega una nascita. Odio. Impotenza. Rabbia.
Poi, la svolta. Un cuore che batte, una mano che spinge, l’esistenza prende fiato. Una, due, tre volte. Ma la terza, una vita la porta e una la prende: Alice muore.
Il conforto sul volto dei medici se n’è andato girato l’angolo, quello dei parenti ha solo aspettato il primo treno, agli amici è bastato girare faccia. Accade sempre così quando non si è il protagonista del Dramma. Ma il ruolo è suo, il copione impresso a vita negli occhi allungati della figlia, in quelle mani che non sanno trattenere, nella bocca carnosa aperta alla lingua che la bagna, spessa e secca. Il mostro si è portato via la sua parte più bella, Alice, e continua ad affondare le radici, sempre più in profondità, fino a soffocarlo.
La tazza fuma, come il sangue che gli gonfia le vene. Il cucchiaino riflette la sua immagine: è al contrario, distorta. Lo lancia contro il muro. Si afferra i capelli, li stringe. Urla. Afferra la tovaglia e la strappa al tavolo, livido in volto. La tazzina si rompe, il caffè si spande, come la disperazione che spinge dietro gli occhi. Cade sulle ginocchia. Le lacrime si mischiano al liquido scuro. Si chiude sulle cosce e dondola, impotente. Solo.
È una mano a consolarlo, gli avvolge la guancia. Non si sottrae, e lascia che quella carezza goffa smorzi il dolore. Solleva lo sguardo: anche se in una forma diversa, gli occhi di lei sono gli occhi di Alice. Le lacrime s’asciugano, la forza cresce. Dietro il corpo tozzo di Alba, Alma e Anna sono una aggrappata all’altra, gli occhi fissi sul padre. Il rimorso lo stringe nella vergogna. Allunga la mano verso il cucchiaino, lo avvicina al naso, sorride alla figlia che non avrebbe mai voluto e gli mostra il volto capovolto riflesso nell’acciaio. Non è lei il mostro.
Sandro fissa la tazza con sguardo perso. Ha occhi acquosi, come lo zucchero appena sciolto. I ricordi vorticano a ogni giro di cucchiaino, in pensieri sempre più piccoli risucchiati nel mulinello nero. La mente straborda, la porcellana si riga. La lingua corre a bloccare il rivolo che la sporca, si scotta, e si ritrae. Il pensiero è andato oltre, a nulla serve provare.
Ricordi.
Troppi.
Lui. Alice. L’amore che cerca una vita. La vita che nega una nascita. Odio. Impotenza. Rabbia.
Poi, la svolta. Un cuore che batte, una mano che spinge, l’esistenza prende fiato. Una, due, tre volte. Ma la terza, una vita la porta e una la prende: Alice muore.
Il conforto sul volto dei medici se n’è andato girato l’angolo, quello dei parenti ha solo aspettato il primo treno, agli amici è bastato girare faccia. Accade sempre così quando non si è il protagonista del Dramma. Ma il ruolo è suo, il copione impresso a vita negli occhi allungati della figlia, in quelle mani che non sanno trattenere, nella bocca carnosa aperta alla lingua che la bagna, spessa e secca. Il mostro si è portato via la sua parte più bella, Alice, e continua ad affondare le radici, sempre più in profondità, fino a soffocarlo.
La tazza fuma, come il sangue che gli gonfia le vene. Il cucchiaino riflette la sua immagine: è al contrario, distorta. Lo lancia contro il muro. Si afferra i capelli, li stringe. Urla. Afferra la tovaglia e la strappa al tavolo, livido in volto. La tazzina si rompe, il caffè si spande, come la disperazione che spinge dietro gli occhi. Cade sulle ginocchia. Le lacrime si mischiano al liquido scuro. Si chiude sulle cosce e dondola, impotente. Solo.
È una mano a consolarlo, gli avvolge la guancia. Non si sottrae, e lascia che quella carezza goffa smorzi il dolore. Solleva lo sguardo: anche se in una forma diversa, gli occhi di lei sono gli occhi di Alice. Le lacrime s’asciugano, la forza cresce. Dietro il corpo tozzo di Alba, Alma e Anna sono una aggrappata all’altra, gli occhi fissi sul padre. Il rimorso lo stringe nella vergogna. Allunga la mano verso il cucchiaino, lo avvicina al naso, sorride alla figlia che non avrebbe mai voluto e gli mostra il volto capovolto riflesso nell’acciaio. Non è lei il mostro.
Sandro fissa la tazza con sguardo perso. Ha occhi acquosi, come lo zucchero appena sciolto. I ricordi vorticano a ogni giro di cucchiaino, in pensieri sempre più piccoli risucchiati nel mulinello nero. La mente straborda, la porcellana si riga. La lingua corre a bloccare il rivolo che la sporca, si scotta, e si ritrae. Il pensiero è andato oltre, a nulla serve provare.
Ricordi.
Troppi.
Lui. Alice. L’amore che cerca una vita. La vita che nega una nascita. Odio. Impotenza. Rabbia.
Poi, la svolta. Un cuore che batte, una mano che spinge, l’esistenza prende fiato. Una, due, tre volte. Ma la terza, una vita la porta e una la prende: Alice muore.
Il conforto sul volto dei medici se n’è andato girato l’angolo, quello dei parenti ha solo aspettato il primo treno, agli amici è bastato girare faccia. Accade sempre così quando non si è il protagonista del Dramma. Ma il ruolo è suo, il copione impresso a vita negli occhi allungati della figlia, in quelle mani che non sanno trattenere, nella bocca carnosa aperta alla lingua che la bagna, spessa e secca. Il mostro si è portato via la sua parte più bella, Alice, e continua ad affondare le radici, sempre più in profondità, fino a soffocarlo.
La tazza fuma, come il sangue che gli gonfia le vene. Il cucchiaino riflette la sua immagine: è al contrario, distorta. Lo lancia contro il muro. Si afferra i capelli, li stringe. Urla. Afferra la tovaglia e la strappa al tavolo, livido in volto. La tazzina si rompe, il caffè si spande, come la disperazione che spinge dietro gli occhi. Cade sulle ginocchia. Le lacrime si mischiano al liquido scuro. Si chiude sulle cosce e dondola, impotente. Solo.
È una mano a consolarlo, gli avvolge la guancia. Non si sottrae, e lascia che quella carezza goffa smorzi il dolore. Solleva lo sguardo: anche se in una forma diversa, gli occhi di lei sono gli occhi di Alice. Le lacrime s’asciugano, la forza cresce. Dietro il corpo tozzo di Alba, Alma e Anna sono una aggrappata all’altra, gli occhi fissi sul padre. Il rimorso lo stringe nella vergogna. Allunga la mano verso il cucchiaino, lo avvicina al naso, sorride alla figlia che non avrebbe mai voluto e gli mostra il volto capovolto riflesso nell’acciaio. Non è lei il mostro.
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