Altro non siamo, se non frutta appassita

La suola imbrattata di sangue si incolla alle pietre delle scale. Fisso il guizzo rosso tra le maglie della cotta. Sono stato addestrato a resistere al dolore, ma questa freccia in pancia è la madre delle torture. Se la tolgo, rischio di sanguinare di più, allora la spezzo, stringo i denti e premo sulla ferita.
Cerco un appiglio sulla parete rocciosa. Mancano dodici scalini.
Sento i passi dei soldati imperiali che salgono dietro di me. Mi bruciano i polmoni: durante l’assedio ho respirato troppo fumo.
Mi siedo, immagini del mio passato mi scorrono davanti agli occhi.
 
Sono un novizio, Mastro Grom indica la mela che tengo in mano. «Mettila ai piedi della statua»
Stringo il frutto al petto, ho fame e mi manca la mamma. Indico i rimasugli marci sul piedistallo. «Il dio non la mangia, il cibo resta lì e va a male.»
Mastro Grom risponde: «La vita di qualcuno è la morte di qualcun altro. Il cibo marcisce, ma dà vita a vermi e mosche. Su, figliolo, obbedisci.»
Mi avvicino al piedistallo e poso la mela. La statua del dio Horel, mezzo verme e mezzo mosca, punta la sua proboscide su di me. Che mi sorrida?
Mastro Grom mi tocca la spalla. «Ricorda: anche noi, non siamo che frutta appassita.»

 
È il giorno della mia iniziazione. Il cadavere dello schiavo sacrificato è steso sull’altare di marmo nero. I confratelli in cappuccio lo circondano e attendono la mia autopsia rituale. Incido il ventre, affondo la lama. Respiro l’odore di sangue e merda, per un attimo ho le traveggole: recido e asporto gli organi. Con le forbici apro il torace, estraggo il cuore e lo tengo in mano. Lo alzo, lo spremo come un frutto, il sangue mi impregna le mani.
Raggiungo la statua di Horel e gli faccio dono delle interiora.
Odo il mormorio delle preghiere dei confratelli. Il vecchio Grom si avvicina e mi nomina Cavaliere dell’Ordine del Cuore Nero. Sorrido: dopo vent’anni, il mio noviziato è finito.

 
Entro nella sala delle udienze e mi avvicino all’imperatore, l’usciere mi annuncia come ambasciatore dell’Ordine del Cuore Nero. Porto un dono al sovrano in segno di amicizia: una scultura di un cuore umano in alabastro rosso, simbolo del mio Ordine. L’imperatore apprezza il regalo, ma presto la conversazione si sposta sui sacrifici umani e sui rituali di carne della nostra religione. Cerco di difendermi, ma il dialogo si fa teso quando i cortigiani dell’imperatore scherniscono il nostro dio, Horel, chiamandolo grassa mosca mangiamerda. Prendo congedo, l’imperatore mi lancia parole pungenti: “Assassini sacrileghi”.
 
Riprendo coscienza nella torre. Sto morendo, ma mi rialzo a fatica. Devo raggiungere la campana nera, suonarla per annunciare l’assedio e chiamare la retroguardia.
Un soldato imperiale mi attacca. Evito la sua spada e riesco a battere la campana, ma il suo suono è debole: l’hanno crepata.
Sorrido. Ormai è la nostra fine.
Il soldato mi inchioda a terra e mi punta la balestra all’occhio.
Sto per morire, ma rido al ricordo delle parole di Grom: altro non siamo, se non frutta appassita.