Always on My Mind

L’ingresso di El Diablo’s è in fondo a un viottolo di terra arida, piena di stracci e merda di cane. L’insegna sopra la porta ronza come i mosconi che mi tormentano da giorni.
Vai a Cielo Quebrado, è il posto giusto… Sì, il posto giusto per beccarsi un virus intestinale.
Spingo la porta e vengo investito da una zaffata di birra, tequila e… cos’è, ammoniaca? I neon sul soffitto proiettano strisce blu e rosa sulle assi di legno marce che sembrano sul punto di cedere sotto i miei piedi.
La bettola è semivuota: un vecchio dorme abbracciato a un tavolino, due muchachos in camicia aperta sorseggiano qualcosa al bancone, mentre il barista, magro come uno scheletro sta cercando di pulire un boccale.
Sulla sinistra, un palco minuscolo sprofonda nell’ombra, nascosto dietro pesanti tende rosse, coperte da uno strato di polvere e ragnatele.
Stringo le mani agli spallacci dello zaino e mi avvicino al bancone. «Una cerveza.»
Il barista annuisce e sistema il boccale sotto lo spinatore. «¿Gringo, estás aquí por èl
«El? Lui?» Gli mollo venti pesos per la birra più trasparente che abbia mai visto. «Suonerà?»
Il barista scrolla le spalle. «Sí, sí, un poquito de paciencia.»
Pazienza, certo. Quello di stasera sarà il decimo impersonatore di questo mio tour messicano.
Mi dirigo al tavolino davanti al palco, mi siedo e tiro fuori dallo zaino la Bibbia di mio padre. La apro sulla prima pagina: “Aaron, ho dedicato tutta la vita per trovarlo… ma ho finito il tempo. Trovalo tu, per me e per il Culto di Graceland. Viva il Re!”
Gran bel regalo mi hai fatto, papà. Non bastava chiamarmi come lui, dovevi farmi setacciare ogni dannata bettola d’America. Mando giù un sorso di birra annacquata sì, ma dalla pioggia.
Le tende si scoprono e appaiono cinque tizi pallidi vestiti di nero. È una band completa: chitarrista, bassista, batterista, tastierista e sassofonista. I primi accordi di Suspicious Minds si sprigionano nell’aria rarefatta, poi appare lui. Vestito di un completo bianco a borchie d’oro si fa largo nel buio. Gli occhiali a maschera gli coprono metà volto, e i suoi capelli neri sembrano scolpiti nella brillantina.
«We’re caught in a trap / I can’t walk out / Because I love you too much, baby.»
La sua voce profonda rimbalza tra le pareti. Non può essere, non può essere…
 
***
 
Busso alla porta del vecchio ripostiglio con una stella incisa sopra.
«Prego.»
Tiro la maniglia ed entro.
Seduto su una poltrona, Elvis mi guarda con le labbra distese. «Chi diavolo sei?»
«T-tu… sei vivo.» Faccio un passo verso di lui. «Il Culto l’ha sempre saputo… Sei il Re, l’immortale!»
Si accende una sigaretta e scoppia a ridere. «Immortale? Amico, sono solo uno che ha fatto un pessimo affare.»
«Un affare?»
«Con il diavolo, un diavolo a sei zeri.» Si accende una sigaretta e fa un tiro. «Mi ha offerto di scappare dalla fama, vivere per sempre e tutto il resto. In cambio dovevo cantare per lui. Per sempre…»
«Quindi sei un… servo del diavolo?»
«Più o meno. Ma ehi, meglio che finire morto nel cesso di Graceland.» Fa spallucce. «E ora? Vuoi spifferare tutto ai tuoi amici e far diventare Cielo Quebrado come Las Vegas?»
Mi irrigidisco. Sono venuto qui per loro, ma se scoprissero che è vivo…
«Sai una cosa? Ho un’idea migliore.» Elvis tira fuori una fiaschetta dalla tasca del completo. «Bevi.»
I muscoli sono tesi, ma la mano si tende, quasi si muovesse da sola. Afferro la fiaschetta, svito il tappo e bevo. È alcol che sa di fuoco e marshmallow, liscio e feroce come melassa indiavolata. La mente si appanna e la figura di Elvis mi oscilla davanti agli occhi.
 
***
 
Le tende rosse si aprono e la platea di El Diablo’s si scortica le mani. Il mio completo nero è perfetto, come un guanto appena calzato. Impugno la chitarra e scorro le dita sulle corde. I primi accordi di Always on My Mind si diffondono nell’aria in una dolce melodia. Do uno sguardo al sassofonista, col suo pizzetto bianco… Solleva il pollice e mi sorride.
Ti voglio bene, papà.
Suono un altro accordo, poi entra lui.
Il pubblico esplode.