
Un Inferno sui generis dalla penna di Francesco Nucera.
«Signor Ivo, ricapitoliamo.» Af sbuffò e si premette la radice del naso suino. «Lei ha rifiutato l’appartamento in via dei Golosi e l’open space in zona Lussuria. Dico bene?»
Ivo si schiarì la voce per rispondere all’operatore dell’Aier. «Sono tutti allettanti, eppure…» disse, mordicchiandosi il labbro.
«Eppure?»
«Nulla, ma è una decisione importante, resterò qui per l’eternità.»
«Certo, sempre che io non perda la pazienza prima.» Af si alzò di scatto e poggiò i palmi sulla scrivania.
Ivo strabuzzò gli occhi. Ora che l’operatore era in piedi poteva vederne solo la fronte corrugata, le corna e la coda che gli svolazzava alle spalle.
«Venga con me, questa volta non potrà dire di no!» tuonò Af, andando verso l’uscita.
Ivo faticò a stargli dietro ma, nonostante i corridoi saturi di gente in attesa davanti a porte simili a quella da cui era appena uscito, riuscì a non perderlo d’occhio e lo raggiunse fuori da un ascensore. «Certo che c’è un casino» disse, trafelato.
Il demone socchiuse gli occhi e piegò la testa di lato. «È serio?» chiese.
«Sì.»
«Ma lei com’è finito qui?»
Ivo abbassò lo sguardo. «Barbiturici» rispose.
Il campanello, che indicava l’arrivo dell’ascensore, interruppe la conversazione. I due entrarono, Af andò alla tastiera, si tese sulle punte e schiacciò il pulsante più in alto.
«Come mai quei numeri sembrano nuovi?» chiese Ivo, indicando la fila superiore.
«Abbiamo dovuto aggiungere dei piani.» Il demone, compiaciuto, mostrò una fila di denti ingialliti.
Fu una questione di pochi attimi, l’ascensore sussultò, il millecentotrenta si illuminò e le porte si aprirono.
«Muoviamoci, devo tornare presto in ufficio oppure quelli di sotto mi danneranno l’anima» disse Af, sogghignando.
Il corridoio che si trovarono davanti ricordava a Ivo quello della casa popolare in cui abitava: c’era la stessa fila di porte scure, le plafoniere divelte e i muri sporchi.
«Scusaci per la baraonda, ma è successo tutto così di fretta. Però tranquillo, domani verranno gli elettricisti e poi gli imbianchini» disse Af, che era già a metà corridoio. Ivo dovette correre per raggiungerlo.
«Tieniti forte: questo è l’ultimo grido!» Af strinse la maniglia di una porta e l’aprì.
La luce, che proveniva dall’appartamento, abbagliò Ivo che ci mise un po’ ad abituare la vista. Quando tutto fu nitido, sentì gli occhi riempirsi di lacrime, tirò su col naso è andò verso la finestra: ai suoi piedi aveva delle vette innevate e il cielo si perdeva all’orizzonte. «E l’inferno?» chiese, sbalordito.
«Sa, con l’apocalisse il posto giù non bastava più e il Grande Capo ha deciso di mollarci la terra, ma tranquillo qui siamo sempre all’inferno!»
Ivo vacillò, non poteva essere vero. Si schiarì la voce e si chinò verso Af. «Perché fate tutto questo per me?»
Il demone sollevò un sopracciglio e sorrise. «Siete tutti uguali. Da millenni arrivate qui è fate la stessa domanda. Eppure siamo noi a farvi divertire: la vostra soddisfazione è il nostro miglior premio!»
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