
Raggiungo il capanno usato dai cacciatori per appostarsi nel bosco. Una brandina logora sta vicino a un tavolaccio che sorregge una cassa di birre vuote, una piccola stufa spenta rigurgita cenere e carbone. Dalla finestra si vedono le conifere e i castagni le cui foglie secche imbrattano il terreno, una spolverata di neve copre le fronde più alte, mentre a terra il nevischio lascia spazio a umida fanghiglia.
Mi siedo nella branda, tolgo dallo zaino la fiaschetta di grappa e il libro dei riti. I boscaioli hanno accennato a fumi iridescenti che la notte penetravano nelle loro capanne seminando il terrore e il sindaco mi ha raccontato qualche strana leggenda contadina, ma invece di ascoltarlo ho preferito studiare i trofei di caccia appesi alle pareti di casa sua: teste di cinghiale, barbagianni impagliati e pelli di ermellino. Alla fine non mi interessano le leggende locali, che fanno riferimento agli spiriti del mondo antico, mentre in questo bosco vivono forze più giovani e subdole.
Prendo un sorso di grappa, conscio che sarà l’ultimo conforto in vista delle notti d’inverno in questa catapecchia solitaria. Sospiro, una nuvoletta di vapore si forma di fronte al mio viso. Sì, accenderò il fuoco e mi butterò su questa brandina puzzolente, poi stanotte vedremo cosa accadrà.
Apro gli occhi e guardo le lancette fosforescenti del mio orologio da polso: le due del mattino. Il bosco è illuminato dalla luna piena, non si sente nemmeno il verso di una civetta insonne. Sul terreno sotto ai pini, una fitta nebbia luccica e si espande a vista d’occhio verso il capanno dei cacciatori.
Bene, deve essere la sostanza di cui mi parlavano i boscaioli atterriti. Con mano ferma apro il libro dei riti e accendo una candela, il cerchio di protezione tracciato sulla pagina reca la formula in latino, la biascico in silenzio e lascio che la tenue luce della fiammella si colori di verde.
La nebbia passa sotto la porta, sottile come un lenzuolo, un fumo denso e luccicante si palesa di fronte a me. I contorni si fanno nitidi: un groviglio di corpi di bestioline intrecciate le une sulle altre si contorce, decine di fauci sibilano all’unisono.
Il mio cuore batte forte: non è un demone moderno, ma un antichissimo spirito del bosco. Finché la fiammella brucia non potrà farmi del male, ma devo stare attento: se sto nel bosco sono in suo potere. Le teste di ermellino, donnola e faina hanno gli occhi di un rosso acceso come sangue infuocato, attendo paziente, la luna viene oscurata da una nuvola di passaggio e nel capanno rimane solo il lume verde della mia candela.
Lo spirito smette di minacciarmi, mi fissa con le sue teste ferine e rimane immobile, alzo il mento in cenno di sfida: «Perché perseguiti la gente del posto?» Il groviglio di corpi si dissolve in una manciata di polvere iridescente e assume una nuova forma.
La luce verde illumina il manto bianco di una volpe delle nevi. Le sue zampette si muovono sulle assi marce senza far rumore, i suoi occhi gialli sono come fari accesi. Tendo la mano, sfioro la coda dal manto soffice: il vapore mi penetra la carne e mi colpisce le ossa con un freddo glaciale. La bestiola emette un verso lugubre, scorgo il contorno della tagliola attaccata alla zampa posteriore. Con le dita intirizzite, allargo le maglie della trappola e libero la volpe, ma appena alzo lo sguardo lei è svanita.
Esco dal capanno e mi dirigo nel bosco silenzioso. I pini e i larici coperti di neve sono come le sentinelle di un regno segreto. La mia candela verde mi protegge, seguo una traccia luminosa che mi guida in mezzo agli alberi in una strada non battuta da alcun sentiero. Giungo presto a una radura: tronchi ammassati giacciono in attesa di essere portati via, gli attrezzi dei boscaioli sono abbandonati alla rinfusa in mezzo ai ceppi che spuntano dal terreno come dita scheletriche.
Faccio una piccola buca per terra scansando gli aghi di pino, ci spingo dentro un piccolo teschio di topo su cui ho tracciato il segno della vita con un cuneo.
Recito la formula, sospiro col cuore in gola e attendo.
Le dita della nebbia si chiudono attorno alla radura e compaiono gli spiriti degli animali morti: donnole senza pelliccia, cinghiali senza testa, civette senza piume né occhi, cervi senza palco e daini scorticati il cui sangue fluorescente gocciola tra i muschi.
Mi fissano con orbite vuote. Alla persecuzione dell’uomo hanno risposto col terrore puro, alla sua violenza con la cieca follia di chi si sente braccato.
Un’orsa ha il ventre aperto a rivelare dei feti che pendono come grappoli d’uva, figli che mai nasceranno. Mi fissa con occhi immensamente tristi, come per chiedermi il perché di tanto odio.
Sospiro e mi inginocchio sul terreno ghiacciato. Piango per loro e chiudo gli occhi.
La volpe mi lecca le guance, la sua saliva è come ghiaccio.
Apro gli occhi, sono solo, lo spirito mi ha risparmiato.
Torno alla capanna.
Il sindaco mi ha pagato per esorcizzare questo bosco e renderlo di nuovo fruttuoso per caccia e legname. Domani gli restituirò il denaro.
(Copertina generata con chatGPT)