
Novembre 2073, da qualche parte in Puglia.
«Miché, sono stanco» si lamentò Ciro, sudato come un mulo. «Fermiamoci, che mo’ il caldo m’ammazza.»
Michele seguì il sentiero arido senza mollare di un millimetro. «Cretì, ti sei scordato che se troviamo l’acqua Don Bernardo ci fa comandare una zona?»
L’amico si appoggiò al palo di un lampione rotto e riprese fiato. «Me lo ricordo, ma qua di acqua non ce ne sta manco una goccia.»
Michele si soffermò a scrutare l’orizzonte. «Ci sta ci sta, senti a me. A Don Bernardo ce l’ha detto uno che abita vicino alla città fantasma.» Indicò un punto dell’orizzonte che si perdeva nel tremolio dell’aria rovente. «Dice che ha visto una specie di deposito con dei tubi.»
«E che significa?»
«Che attaccati ai tubi ci sono i serbatoi!»
Anche Michele era zuppo di sudore: il sole del mattino era spietato e non dava tregua.
Insieme rallentarono il passo e si appostarono dietro una casupola abbandonata.
«Come fai a sapere che stiamo andando bene?» chiese Ciro, preso sempre più dallo sconforto.
Michele lo guardò indispettito. «Se non eri mio amico, ti davo un pugno. Don Bernardo si fida di me, lo sa che sono bravo a trovare le cose. Toh, prendi questa.» Gli porse l’ultima bottiglietta nello zaino piena d’acqua tiepida come brodaglia. L’amico bevve solo un paio di sorsi poi sputò per terra. «Gli dobbiamo portare una prova che i serbatoi ci stanno, poi ci dà il premio.»
«E se vengono pure le guardie del governo?» si allarmò Ciro.
Quasi come se le avesse evocate, in lontananza si diffuse il rombo dei motori di alcune camionette militari.
«Cazzo» fece Michele, tirando Ciro per la maglietta. «Dobbiamo arrivare prima noi.»
Si lanciarono in una corsa disperata senza guardarsi indietro.
«Dove andiamo?» gridò Ciro.
«Non… lo… so…» rispose Michele, col fiatone. «Le strade… sembrano tutte… uguali.» Si fermò all’improvviso e si voltò dalla parte da cui provenivano i mezzi militari. Si mise l’indice davanti agli occhi e tracciò nell’aria una linea immaginaria. «Ho capito! Muoviti.»
Cambiarono direzione e si immisero su una larga sterrata che finiva, qualche centinaio di metri più in là, in un’area periferica della città fantasma.
Ciro appariva sfinito. «Basta Miché! Ohhh, che ti prende?»
«Ho capito dove vanno. Meh, siamo quasi arrivati.» Ancora una volta tirò via Ciro e lo costrinse a forzare l’andatura.
Dopo qualche minuto giunsero di fronte a una lunga cancellata arrugginita, posta a difesa di un basso edificio dal tetto diroccato. «Stanno qua, i serbatoi.»
«Speriamo che c’hai ragione» disse Ciro, la voce arrochita dallo sforzo, «Sennò…»
Uno sparo lo zittì.
«Giù!» gli ordinò Michele.
«Cazzo, questi c’ammazzano!» piagnucolò l’amico.
«Andiamo di qua.» A Michele tremavano le ginocchia, eppure non si perse d’animo. Si mosse rasente alla cancellata, la schiena bassa. Si accovacciò e Ciro lo imitò. Aggirarono l’edificio fino a trovare una buca scavata alla base del cancello principale. «Oh! Infilati! Dai!»
Sbucarono dall’altra parte e corsero a perdifiato verso una porta di metallo scorticato.
Un altro colpo di pistola riecheggiò forte, ma stavolta più lontano. Michele si accostò alla maniglia e la tirò con rabbia. La porta si aprì cigolando. Entrarono in un vasto ambiente ingombro di macchinari sfasciati e Michele si spostò verso una scalinata che conduceva a un piano inferiore. «L’acqua! La sento scorrere!»
Ciro lo seguì senza fiatare, con la paura che gli trasudava dalla faccia.
I serbatoi erano là sotto, e traboccavano di un meraviglioso liquido cristallino.
Michele era estasiato.
«E sarà pure fresca!» esclamò l’amico. Michele prese dallo zaino una bottiglia vuota e si avvicinò a un tubo con una specie di rubinetto. Girò la valvola rotonda e l’acqua sgorgò vivace. Ne bevve lunghi sorsi e rise di gioia.
Un tuono lo fece sussultare. Si lasciò sfuggire la bottiglia dalla mano. «CIRO!» L’amico lo guardò stupito e si afflosciò a terra. Morto. Di fronte a lui, a una ventina di metri di distanza, stava ritta una figura esile coperta da un saio nero e un cappuccio che lasciava scoperti solo gli occhi.
Michele non voleva morire. Con uno scatto, si allontanò dalla linea di tirò e trovo riparo dietro una pila di casse di legno.
«Tanto ti trovo!» gli promise lo sconosciuto, la voce attutita dal tessuto del cappuccio.
Michele si rintanò contro il muro e strinse gli occhi. Cominciò a pregare. In quel momento scoppiò il finimondo: urla, spari, trambusto. Poi il silenzio, e infine una voce possente. «Requisite tutto.» I militari del governo rubarono l’acqua dai serbatoi con apparecchi assordanti e se ne andarono.
Michele uscì lentamente allo scoperto. Si avvicinò al cadavere dello sconosciuto vestito di nero. Era riverso in una pozza d’acqua striata di rosso. Si abbassò e gli tirò via il cappuccio.
Era una ragazzina. Forse aveva la sua età. Occhi verdi fissi al cielo e lucidi capelli corvini.
Michele scoppiò a piangere e oltrepassò il corpo immobile di Ciro.
Corse fuori dall’edificio perdendosi nell’arido inferno dei sentieri polverosi.