Confusi

Un estratto da un racconto di Roberto Bommarito, la Guest Star della Two Days Edition, pubblicato su ALTRISOGNI. Potete trovare la rivista QUI.

 
«Questo è quello che sono» sbotta Elena, gli occhi sgranati, rossa in volto, la maglietta alzata per mostrarmi la confusione che si estende sul ventre, piccoli vortici scuri, bocche aperte sull’anima.
«No, non è vero. Smettila».
Si siede, lasciandosi cadere sul bordo del letto come se la nostra relazione, entrambe le nostre vite, pesassero sulle sue spalle. «Che cazzo ne sai tu?» dice.
Mi avvicino. Lei si ritrae di scatto, rapida come una mano aperta sul fuoco.
«Possiamo parlarne». Solo dopo averlo detto mi rendo conto di aver pronunciato le parole come un dato di fatto, non una domanda. Cerco i suoi occhi. Cerco di riconoscere in lei uno sguardo, un’emozione famigliare. Qualcosa a cui possa aggrapparmi per non accettare il dolore di vederla allontanarsi da me. Per rifiutare la mia impotenza di fronte allo sgretolarsi di tutte le certezze che entrambi condividevamo prima che lei venisse colpita dalla confusione.
«Cosa vuoi che cambino le parole?» Le labbra strette, tese, cercano di contenere invano la sua rabbia. Quei giorni in cui ci parlavamo baciandoci, senza dire nulla, mi appaiono tanto improbabili da dubitare per un istante che siano esistiti davvero. «Ho bisogno di allontanarmi».
«Da cosa?»
«Da tutto questo ordine». Con un gesto della testa indica i quadri, repliche del Canaletto, presi un anno fa in una bottega di Venezia dove spendemmo una settimana facendo i turisti. Rincorrendo i puntini rossi su Google Maps. Con la Nikon appesa al collo e la bottiglietta dell’acqua stretta in mano, stancandoci tanto da crollare addormentati la sera, troppo esausti per fare l’amore.
«Guarda quei dannati quadri» riprende. «Sono bellissimi». Strascica le esse come una bambina che imita il verso del serpente. «Sono bellissimi e mi fanno schifo».
Un attimo dopo ho staccato un quadro dalla parete. «È questo che vuoi?» Lo lascio cadere. Il vetro si spacca con un rumore breve, assordante, cattivo. Lei sorride fissando la tela strappata, i frammenti di vetro sparsi sul pavimento come finti diamanti gettati via con disprezzo. Gode nel vedere l’ordine mutare in caos. Gode nel vedere tutto sbriciolarsi, incluse le nostre vite. Poi si getta in ginocchio. Allunga una mano, le dita tremano. E con quelle dita sottili, le stesse che mi hanno accarezzato il mento, il petto, che mi hanno voluto e confortato, con quelle stesse dita raccoglie delle schegge, giocandoci, mentre un rivolo di sangue le scende lungo il palmo, gocciola per terra. Elena alza la testa, gli occhi sgranati saturi di vita.
«Visto che bello?» mi fa, il braccio teso, il palmo aperto pieno di schegge insanguinate. «Fallo anche tu.»
Quando chiamo il pronto soccorso sono in cucina, seduto sul pavimento. «La mia fidanzata». Esito. «Elena si sta facendo male».