Desideri proibiti

Esempi televisivi da evitare. Un racconto di Diego Ducoli, finalista nella 113° Edizione con Federico Guerri come guest star.

 
Eccola li, stronza maledetta. Tutti i giorni alla stessa fermata. Tutti i giorni con in testa quel fottuto nastro.
Sono mesi che si ripete la stessa scena: fermata dell’autobus, lei che aspetta, sempre un nastro tra i capelli, sale sul mezzo e non ritorna fino alle 17,30. Tutti i giorni, tranne il sabato e la domenica.
Cazzo farà in quei giorni!?
Bevo un sorso di Tavernello, gentilmente offerto dalle “Anime buone del supermercato”, un rutto acido mi sibila tra i denti. Butto il cartoccio vuoto insieme agli altri che affollano il pavimento.
Anche stamattina è andata, oggi il nastro era viola.
Bello, non come quando è rosso, ma bello.
Le mie infradito, un vecchio rimasuglio dei miei vicini, aderiscono con foga all’unto sul pavimento.
I servizi sociali mi dovevano mandare qualcuno per pulire, forse non dovevo minacciare quella povera disperata, ho spiegato ai carabinieri che mi stava spaccando i coglioni mentre guardavo la tv. Sbirri di merda.
Mi svacco sul divano che cigola in modo fastidioso, pigio il tasto rosso del telecomando e aspetto.
 
La 250 è in orario. Scende stringendosi il cappotto intorno al corpo, eppure non fa freddo nonostante sia dicembre. Appoggio la pancia inguainata nella canottiera e mi cade lo sguardo sui pantaloncini che indosso da una settimana, sono ancora buoni, non ci ho neanche pisciato dentro.
I nostri sguardi si incrociano. Mi gonfio mostrando la maschia potenza e bevo.
La vedo arricciare il naso in una strana smorfia e allungare il passo. L’ho colpita di certo.
 
Stamattina è rosso. Sapevo di averla impressionata.
Oggi è il giorno giusto, lo so e lo sa anche lei. L’ha messo apposta. La guardo sparire dietro le porte pneumatiche.
Bevo.
Vado in sala e sposto i sacchi di vestiti e altra roba indefinibile.
Maledetti servizi sociali!
Mi servirà spazio. Riesco a ottenere qualche metro libero davanti alla tv.
Apro un sacco. Ci sono ancora, li ho sempre voluti usare e finalmente è il momento.
 
La ragazza si agita sulla sedia, il nastro adesivo contiene i suoi mugugni.
Mi ergo davanti a lei sovrastandola di quasi mezzo metro, con l’accappatoio avvolto intorno al corpo.
«Non ti faccio mica niente».
Si agita, gli offrirei da bere ma mi rendo conto che dovrei liberarla.
Il cerone bianco che gli copre il volto è rigato dalle lacrime.
«Cazzo! Smetti di piangere che rovini tutto il lavoro» urlo.
Un po’ brusco, ma funziona. Correggo le imperfezioni e completo l’opera con la matita nera. Un punto sul naso e due righe laterali.
Accendo il televisore, il programma sta per finire. Tutto perfetto.
«Senti, adesso ti libero ma non urlare. Promesso?»
Annuisce.
«E adesso alziamoci tutti in piedi e facciamo il nostro ballettopolo» tuona il televisore.
Mi libero dell’accappatoio sfoderando un dolcevita nero e due bermuda rossi con due grossi bottoni bianchi.
La libero mentre parte la sigla finale. «Fai come me!»
«Tik tak…e tikke takke tikketi tak il nostro ballo è proprio bello…»
Agito braccia e gambe al ritmo della canzone
Urla e fugge in uno svolazzo della gonna rossa a pois bianchi, sbattendo la porta alle sue spalle.
Forse dovevo chiuderla, ma Minnie non dovrebbe dire le bugie.