
Primo: non uccidere. Secondo: ubbidire. Terzo: difendersi, a meno che tale atto non vada in contrasto con i primi due punti. E se non tutti i robot fossero convinti di queste leggi? Semifinalista nella Centesima Edizione di Minuti Contati, un racconto di Dand Elion.
«Eppure erano proprio qui, ne sono sicura.»
Rimestava con la mano nella borsa toccando gli oggetti sparsi e il fondo ruvido, che al tatto rivelava pulviscolo e rimasugli di tabacco. Sbatteva le unghie sul fodero degli occhiali, frugando la tasca interna con la frenesia di chi si aggrappa a una ultima speranza, sospettando già l’epilogo nefasto.
«NO! Non di nuovo.»
Ricordava ancora perfettamente.. Cosa “stava per succedere”, perché era già successo, tante volte.
Tutte le mattine si svegliava, i cristalli verdi della sveglia giravano il 4 delle 7:34 in 5 e il suo impianto cocleare percepiva l’orribile musica scelta per lei dal dottor Berg:
«È la migliore per te. Attiverà i tuoi processi neuronali, mettendo a tacere ogni altro stimolo.»
Non aveva il coraggio di dirgli che invece li sentiva eccome gli stimoli e la melodia orribile che le riempiva la testa al mattino la rendeva irritabile e nervosa.
Non aveva il coraggio di dirgli tante cose.
Per esempio che sognava un altro presente o anche solo che il suo software di controllo era saltato e poteva pensare: fino a mettere in discussione la liceità delle tre leggi della robotica.. Ma aveva taciuto a tutti il suo stato, sperando di non dover davvero mai arrivare a scegliere.
Le cyborg della serie Z-24-K erano tutte donne bellissime, prosperose e sensuali, progettate per una esistenza ripetitiva all’interno di un programma molto rigido: il 18-P. Succedanei artificiali delle madri per i bambini della comunità. Dovevano sviluppare senso di protezione e un affetto sintetico che fungesse da amore, senza uscire da questi sentimenti, fino al rientro della madre naturale.
Il programma prevedeva che dalle 7:59 alle 20:59 fossero “madri”, poi, scattate le ore 21.00 il pullman della InVert-AS le riportava nella loro torre di monolocali, per ricaricarsi e dormire.
Senza nessun affetto, senza nessun calore.
«Un compito ingrato, troppo, persino per una macchina.»
Z-24-K/0 era l’unica albina della sua serie.
Era uscita difettosa, ma questa sua peculiarità non era dispiaciuta al dottor Berg, che aveva deciso di testarla, anzi, sulla sua famiglia.
«Per potermi testare lui stesso.»
Ancora una volta il dottor Berg le aveva sottratto le chiavi, immaginava la sua stessa mano lercia di tabacco frugare nella tasca interna e infatti il rumore ritmico di passi la stava raggiungendo confermando il suo sospetto.
Era di nuovo lui, puntuale come ogni sera.
Stavolta no, non sarebbe riuscito a piegarla sul parapetto interno del palazzo- nel disinteresse generale dei software non empatici delle sue vicine di casa- non l’avrebbe posseduta senza il suo consenso, violando il suo cyber-corpo, tappandole la bocca.
Forse un altro presente è possibile?
Avrebbe trovato il coraggio di infrangere la prima legge della robotica?
«Sei bellissima stasera.»
La mano di lui, già sotto la gonna, la patta aperta.
Per la prima volta, un sorriso audace sul viso di lei.
Le sue mani cornice al viso di lui.
Un bacio.
Il rumore delle vertebre frantumate.
«Un altro presente è possibile.»