Draghi

“Quando entrammo nella grotta, fummo subito certi di essere nel posto giusto. I segni di artigli sulla pietra e l’odore di zolfo non lasciavano dubbi. Ci demmo delle grandi pacche sulle spalle e esultammo senza far rumore. Ratam voleva tornare al villaggio più vicino, ma Pituk e io lo convincemmo a entrare. Così, dicemmo, avremmo preso per noi i tesori più preziosi prima di chiamare i rinforzi.
I due elfi erano eccellenti cacciatori e grazie alla loro abilità eravamo riusciti ad avvicinarci, negli anni, al nostro obiettivo. Nonostante gli pagassi uno stipendio, nel tempo che avevamo passato insieme eravamo divenuti amici. A Ratam avevo fatto da testimone di nozze. Pituk mi aveva chiesto di aiutare i suoi figli se gli fosse successo qualcosa. Ma in quel momento sentimmo avvicinarsi la fine delle nostre ricerche. Scambiandoci sguardi eccitati, ci addentrammo nella cavità. Avanzammo con circospezione nei tunnel, che divenivano sempre più bui, scambiandoci segni e indicando indizi. Tutti e tre vedevamo bene al buio. Il silenzio era rotto dal gocciolio dell’acqua che s’infiltrava tra le rocce e che aveva creato stalattiti e stalagmiti dalle forme più fantasiose. Sentivo il respiro agitato dei miei due compagni, l’odore del loro sudore. La tensione nelle loro spalle era evidente…”
 
Liandros mi interrompe: “Papà papà, fu allora che li uccidesti?”
Sua sorella maggiore, Sialia, gli dà un colpetto dietro la testa e lo redarguisce: “Ma no scemo, è dopo che trovano il nonno. Hai sentito questa storia mille volte!”
Liandros mette il broncio e si massaggia la testa, ma mi lascia continuare.
 
“I tunnel formavano un vero labirinto. Ossa rotte e vestiti a brandelli coprivano il suolo roccioso. Quando cominciammo a trovare anche monete d’oro e gioielli, capimmo di essere ormai vicini alla fetida tana della nostra preda.”
 
“Non è fetida…” borbotta Liandros, ma chiude subito la bocca a uno sguardo severo di sua sorella.
 
“Dopo una lunga ricerca, arrivammo nella grande caverna. Un foro nel soffitto lasciava passare dei raggi di sole. Una montagna di monete d’oro, oggetti d’argento e gioielli di mille colori brillavano nella luce tenue. E su tutto era addormentato lui, l’enorme drago nero. La testa era grande come un carro, le ali possenti erano raccolte sulla schiena smisurata e gli artigli lunghi e affilati affondavano nel suo tesoro. Le storie delle atrocità commesse da quel drago erano conosciute in tutto il regno. Villaggi bruciati, bambini rapiti e, quando si trasformava in uomo, donne violentate. Sentivo il puzzo della paura sprigionarsi da Ratam. Pituk si era nascosto dietro una grande stalagmite, tremava di terrore. Feci segno a Ratam di tenere gli occhi sul drago e mi diressi verso Pituk. Gli misi una mano sulla bocca, con l’altra presi il coltello e gli tagliai la gola. Tornai in silenzio verso Ratam, lo abbracciai e gli infilai il coltello nello stomaco. Lui lanciò un grido e morì con la confusione nello sguardo. Il drago aprì un occhio e mi fissò. disse.
gli risposi. E lo uccisi.”
 
Liandros arriccia il naso e lascia ricadere sulla montagna di monete d’oro due grossi rubini con cui stava giocando. Ha ripreso la sua forma draconica, ma la delusione è chiara nelle linee del suo muso: “Ma papà, dici sempre che uccidesti il nonno, ma non ci dici mai com’é andato il combattimento. Si trasformò in uomo? O tu in drago?” poi si scansa in previsione di un’altra sberla di Sialia, che però non arriva.
Stesa sulla schiena, Sialia sta guardando il cielo che si intravede attraverso il foro nel soffitto della caverna, pensierosa: “Papà, anche noi dovremo ucciderti quando saremo grandi?”
Sì,” le rispondo “quando sarà arrivato il momento, mi nasconderò. Uno di voi mi troverà e mi ucciderà. Poi andrà a trovarsi un uomo o una donna per riprodursi, e il ciclo partirà di nuovo”.
“Ma perché papàaa?” grida Liandros, petulante.
“Ci può essere un solo drago, Liandros. È nella nostra natura. Ma non siamo immortali. Per non estinguerci, dobbiamo riprodurci.”
“È per questo che non ci uccidi adesso che siamo piccoli?” mi chiede Sialia. I suoi occhi seri hanno la pupilla verticale anche nella sua forma umana.
“Non vi uccido perché vi amo, e perché nessun padre può uccidere i propri figli”.
Il piccolo Liandros non ci ascolta più, svolazza nella caverna e si va a posare sull’enorme teschio di suo nonno. Ha le scaglie dello stesso colore nero del suo avo. Sialia invece è dorata, come me.
“Non vi racconto il combattimento tra me e il nonno perché… non ce n’è stato alcuno” sussurro guardando la mia Sialia.
Lei viene e mi abbraccia. Mi stringe forte, e io lei. È una delle poche cose che possiamo fare meglio nella nostra forma umana: abbracciarci.
“Ho capito papà” mi dice lei, sempre così seria, ma c’è dolcezza nella sua voce “ti amo, ma quando verrà il momento ti troverò, e ti ucciderò”.
 
La mia bambina.
 
(Copertina creata con CHATGPT)