FORE MORRA (estratto)

Un estratto da FORE MORRA di Diego Di Dio, guest star della 105° Edizione di Minuti Contati, Decima della Quinta Era.

 
Il quinto giorno decido di prendere un po’ d’ aria. Buba resta in casa a leggere, io vado a fare una passeggiata a Licola Mare. Il viaggio fino alla spiaggia è troppo lungo per la mia gamba, quindi mi metto una parrucca, inforco gli occhiali da sole e prendo l’autobus.
Attraverso il finestrino, mi scorre davanti un posto divorato dalle contraddizioni. Questa fetta di terra con il naso rivolto al mare è l’ennesimo esempio di qualcosa che potrebbe essere, ma non è. Da un lato, l’abbandono dello Stato è evidente. Ci sono tratti di strada impraticabili, case fatiscenti, prefabbricati divorati. Dall’altro, l’economia di questo posto manifesta da anni una potente intraprendenza. I piccoli imprenditori locali hanno saputo creare un microcosmo basato su frutteti e vigneti da un lato, stabilimenti balneari dall’altro.
Il pullman mi ferma quasi in prossimità della spiaggia. Zoppico fino al marciapiede, quindi mi incammino per il lungomare. Quando sono stanca di camminare, mi sollevo sul muretto e mi metto comoda.
Il respiro del mare è una cantilena leggera e soffice, che sembra rimettere ogni cosa a posto. Nella mia vita ho conosciuto parecchie persone cresciute su un’isola. E spesso gli ho sentito dire la stessa cosa: ogni tanto devono guardare il mare, altrimenti si sentono male. La città li soffoca, li fa sentire in gabbia.
Osservando questa distesa infinita che si allunga a toccare l’orizzonte, penso di capirli. Il mare dà il senso della prospettiva. È una delle poche cose, in questo mondo, che ancora non siamo riusciti a dominare.
Quando si guarda il mare, si guarda un assassino che dorme.
Se volesse, potrebbe spazzarci via in un istante.
Ecco perché chi è cresciuto col mare ha bisogno del mare. Per ricordarsi di essere vivo. Per ricordarsi che, da un momento all’altro, potrebbe morire.
Morire…
A volte mi chiedo cosa significa. Ho visto la morte così tante volte, che non mi fa più paura. All’inizio sì, ne ero terrorizzata. In questi anni, però, mi è passata accanto così spesso, che ho imparato a conoscerla. Ne ho memorizzato l’odore, la perfezione. Me la sono sempre immaginata in un modo tutto particolare. Una ragazza magra ed elegante, avvolta in un mantello, la falce su una spalla e un cappuccio nero a nasconderle la parte alta del viso. Mi sembra quasi di vederla, ogni volta che le pallottole smembrano il vento, quando le grida squarciano la notte e l’odore del sangue impregna l’aria. Si trascina tra i cadaveri e le pistole, indifferente a tutto. Nei miei sogni, le chiedo: “Stavolta tocca a me?”.
Lei scuote la testa, poi mi indirizza un sorriso stentato. “Non ancora”, risponde.

(Diego Di Dio, “Fore morra”, Fanucci editore)