I baffi

Sosia, lussi, privilegi… Ma a quale costo? Settimo classificato nella Quarta Edizione della Quinta Era con Gianluca Morozzi nelle vesti di guest star, un racconto di Claudio Tamburrino.

 
Aldjabel passava ore davanti allo specchio a curarsi i baffi.
D’altra parte, come diceva sempre suo padre, la vita è una questione di millimetri per chirurghi, cecchini e barbieri.
 
Se avesse tagliato un pelo in più avrebbe avuto il labbro superiore sconvenientemente scoperto e con esso la cicatrice, piccola ma affatto insignificante, che si era procurato da giovane rispondendo male alle guardie del Nursultan; tagliando un pelo in meno avrebbe invece lasciato coperti i denti appena sbiancati per splendere nelle riprese della TV1.
 
Oltre ad essere tempo consacrato alla perfezione, quello era anche il momento che preferiva delle giornate all’interno del Palazzo Nursultan, passate circondato da guardie e alti funzionari: rispetto ai giorni impolverati nelle strade di Iskana non poteva certo lamentarsi della sua nuova vita, ma aveva anche bisogno di quel momento di pura intimità.
 
Lasciava così i soldati fuori, apriva il cassetto del mobile in stile europeo su cui poggiava l’enorme lavandino di marmo, disponeva le forbici per rifinitura da baffi sulla destra e il pettinino sulla sinistra e si legava l’asciugamano al collo dopo averne odorato il profumo di pulito: una vera rarità fuori da quel palazzo, dove le bombe NATO avevano impolverato tutto e distrutto le condutture, rendendo l’acqua un lusso. Nonostante ciò, non aveva sensi di colpa a farla scorrere abbondante e bollente dai rubinetti d’oro, fino ad ammorbidire con i vapori generati l’asciugamano da passarsi sulle guance dopo la rasatura e poi ancora, fino ad appannare anche lo specchio e il vetro della finestra alle sue spalle: quello era il segnale che doveva uscire e tornare ad essere il volto del Kazanistan. Ma fino a quando poteva ancora vedere riflesse nello specchio la sua pelle olivastra e le sue guance abbondanti, quel momento restava soltanto suo: il Paese avrebbe potuto fare a meno di lui. Inshallah.
 
Con le guardie era come se lasciasse fuori dalla porta anche il suo ruolo, il sosia di Nursultan Nazer, che non aveva mai visto dal vivo perché non avrebbero mai potuto stare contemporaneamente nella stessa stanza, ma che sentiva ormai come un fratello: non sapeva se era il padre del popolo kasasto, come lo chiamava la propaganda, o se era un dittatore integralista che aveva condotto il Paese indietro di 30 anni come diceva la NATO, ma sapeva che aveva bisogno di lui. E viceversa, anche perché senza Nursultan Nazer sarebbe ancora un povero disperato costretto a tagliare i baffi degli altri in una città senz’acqua.
 
Il vapore aveva ormai riempito la stanza e appannato i vetri, il suo segnale.
Prima di uscire e tornare alla sua routine di privilegiato, Aldjabel aprì le finestre per far uscire il calore accumulato e con la luce rossa del tramonto che si allungava placido su Iskana, entrò la pallottola che trapassò la fronte del terzo sosia di Nursultan Nazer.