Il cacciatore di sguardi

La solitudine nella moltitudine, maledizione di una società non più capace di guardare e sentire, ma solo di convivere con il vuoto. Sesto classificato nella CENTESIMA Edizione di Minuti Contati, un raccconto di Raffaele Marra.

 
È un giorno come tanti altri e Nino, nel suo abito grigio, cammina lungo il marciapiede. Guarda le scarpe logore perpetrare mansuete il suo solito, lento cammino, e di tanto in tanto solleva lo sguardo verso il mondo.
La gente lo affianca, lo incrocia, lo evita, o, molto spesso, semplicemente non lo vede.
Nino, muto e perso in una città troppo grande per essere sua, a volte prova a incrociare uno sguardo, scegliendo a caso nella moltitudine. Lo fa con il cuore che batte e le mani che tremano. Il cacciatore di sguardi, lo chiamerebbero alla TV se fosse un serial killer, se la TV si accorgesse di lui, se solo lui fosse in grado di fare qualcosa di più eclatante di sostenere uno sguardo sconosciuto per poco più di tre secondi.
E invece, il cacciatore di sguardi non è neanche un buon cacciatore, e gli sguardi vanno via in pochi attimi, come le persone della città, come tutto ciò che potrebbe rendere meno anonima la sua esistenza.
Nino è solo, ovunque solo, eternamente solo.
Dorme e si sveglia da solo, in un quartiere popolato da persone mute, tutte uguali come i mattoni ruvidi delle loro case, forse meno utili di ciascuno di quei mattoni.
Si sveglia e va a lavoro, in ufficio, là dove l’addetto al personale conosce il suo codice fiscale e il suo livello di retribuzione e un superiore sa che, alternando svogliatamente uno “scusi” con un “bada”, ottiene da Nino il minimo sindacale.
E poi c’è la pausa pranzo, e il tramezzino freddo della mensa, masticato svogliatamente nel brusio lontano di chi ha qualcosa da dire e qualcuno a cui dirlo.
E quindi ancora lavoro, e poi cammino fino a casa, mattone tra i mattoni, silenzio nel silenzio, cacciatore senza preda.
È un giorno come tanti altri, eppure il passo di Nino, prima che sia sera, devia verso la piazza.
Il cacciatore di sguardi solleva la testa più volte, saggia le direzioni, valuta le alternative. Raggiunge il centro della piazza vacillando come un bimbo ai primi passi, o un vecchio agli ultimi.
Raggiunge il centro e si ferma, immobile come una statua.
Dentro, invece, è tutto un mare in tempesta di pensieri, dubbi, tentativi, ripensamenti.
Non è come nei pomeriggi di domenica quando suona “Let it be” alla chitarra o nei giovedì sera a indovinare metà delle domande del telequiz, o nei sabati a mangiare gelato al carrefour o la pizza senza sale del martedì. Qui è tutto diverso, tutto possibile.
«Mi scusi, da che parte è la stazione?»
Il cacciatore di sguardi si volta. La ragazza, guance di pesca e profumo d’estate, attende risposta.
Nino fa un cenno con il capo.
«Grazie».
La osserva andarsene con passo deciso.
Poi la ragazza si gira e, per un istante, gli sorride.
È un giorno come tanti altri, e Nino, sazio, decide di tornarsene a casa.
Lascia stare il centro della piazza e i pensieri, e l’idea che lo aveva tentato per tutto il giorno. Aveva portato una pistola con sé, ma non la punterà alla sua tempia. E non premerà il grilletto per avere finalmente un nome.
Non accadrà. Perché, in fondo, è solo un giorno come tanti altri.