Il diario segreto

Vivere, morire. Chi siamo? Se non ricordiamo di essere esistiti, perché fa paura non esserci più? Una distopia di Andrea Viscusi in cui fanno capolino alcune domande fondamentali dell’esistenza.

 
Un tempo ero biondo. Non ho foto che lo dimostrino, né amici che me ne parlino, ma lo so.
Se mi guardo nello specchio adesso vedo capelli di un castano sbiadito, insipido. Ma so che sono stato biondo, perché lo leggo nel mio diario.
Rileggo il diario ogni sera, dall’inizio, e dopo aver letto ci aggiungo quanto di rilevante mi è capitato nella giornata. Di solito si tratta solo di poche parole, alcune volte nemmeno quelle. Non ho molto spazio per scrivere, devo limitare al minimo le mie annotazioni. Ma anche scrivendo poco, le tracce che lascio mi aiutano a ricostruire la mia vita, giorno dopo giorno, anno dopo anno.
È l’unico modo che ho per ricordare chi sono. E so di essere fortunato, perché gli altri, tutti, non hanno un diario come il mio. Per loro, ogni giorno è una nuova vita.
Nel mondo di oggi, quando una persona si sveglia non è la stessa che si è addormentata otto ore prima. Ogni notte viene riprogrammata. Non c’è niente che possa fare per evitarlo, e soprattutto non ricorda quanto è successo, né la sua vita precedente. Da un giorno all’altro si possono cambiare famiglia, lavoro, abitudini, gusti.
Siamo tutti delle antenne viventi, e i nostri cervelli sono solo righe di codice che vengono ricompilate grazie ai trasmettitori Mierzwiak installati dappertutto, più di trent’anni fa. Da allora, da quando fu inventato il modo di intervenire a distanza sulla struttura dei neuroni, tutto è cambiato. Concetti come identità, affezione, desiderio, sono scomparsi. Nessuno sa più niente di se stesso, e non sa nemmeno di poterlo sapere. Perché noi siamo i nostri ricordi, e questi vengono riscritti ogni notte.
Io non sarei diverso dagli altri, se non avessi il mio diario. Rileggendolo, posso scoprire quello che mi hanno fatto, come mi hanno cambiato, e tentare di capire perché.
Non saprei nemmeno di avere un diario, se non fossi stato così furbo, tanto tempo fa, da forzare il processo quotidiano di lettura e scrittura.
È successo anche stasera.
Sono entrato in casa, e come sempre (un’abitudine così naturale che non hanno voluto cancellarla) ho infilato un dito nel meditech per rilevare la presenza di tossine. La sonda ha prelevato una goccia di sangue dal polpastrello e ha iniziato ad analizzarla.
È iniziato in quel momento. Prima che capissi cosa stava succedendo, sul monitor sono cominciate ad apparire righe e righe del mio diario. Inizia così:
Visto che non posso fidarmi della mia mente, devo affidare la memoria al mio corpo.
 
Nella prima parte del diario, spiego a me stesso come abbia pensato di utilizzare il mio stesso DNA per registrare le informazioni sulla mia vita trascorsa. D’altra parte che cos’è il DNA, se non una serie di dati opportunamente codificati? C’è sufficiente spazio libero, tra un codone e l’altro, per salvare qualche parola ogni giorno. Le lettere vengono tradotte in basi, e sovrascritte al mio genoma. Questo il me di trentaquattro anni fa ha lasciato scritto al me presente.
Ogni notte, mentre loro riscrivono i miei ricordi, io riscrivo il mio codice genetico. Il mio diario segreto.
Piccole, infinitesimali differenze nei tre miliardi di basi che mi definiscono. E se continuando ad alterare il mio DNA cambio qualcosa di me, e oggi non sono più biondo come ero un tempo, poco importa. È il giusto prezzo per poter sapere chi sono.
Ora ricordo la mia nascita, la mia storia, i miei sogni.
E, anche se non sono sicuro di volerlo ricordare, il mio nome: Lukas Mierzwiak.