
Per essere un eroe, come in tutte le cose della vita, occorre studio e applicazione. Un racconto di Angelo Frascella.
«Ferruccio, migliori a vista d’occhio.»
Il ragazzo si ferma sulla soglia dello spogliatoio.
«Grazie, sensei.» Esita un attimo. «Secondo lei sono pronto?»
«Per cosa, Ferro?»
«Per battere un avversario più forte. O, magari, affrontarne due o tre insieme.»
Il maestro ride: «Hai visto troppi film.»
La delusione gela il sangue di Ferro che abbassa lo sguardo per non mostrare gli occhi lucidi.
Una mano gli si posa sulla spalla: «Sei pronto. Ma non farlo, capito? V’insegno sport, non violenza. Qualche compagno di scuola ti dà fastidio? Se è così, vengo a parlargli.»
«No. Volevo solo sentirmi dire che ce la potrei fare.»
Gli occhi del sensei si fanno duri. «Ragazzo, so quello che hai passato. Se ho accettato di allenarti è per insegnarti a combattere il nemico che ti porti dentro.» La mano consolatrice è, ora, una morsa d’acciaio. «Se dovessi scoprire che stai usando queste tecniche per torcere un solo capello a chiunque, fosse pure il peggior delinquente della città, dovrai vedertela con me, in un combattimento vero.»
Ferro si affretta ad annuire: «Certo, Sensei.» Rimane a osservare il maestro che si allontana. Quando s’infila nello spogliatoio, però, si sente pieno di energia.
È pronto, pensa, mentre fa la doccia. Gliel’hanno confermato l’insegnante di parkour, il ragazzo che gli dà lezioni di guida sportiva del motociclo e, ora, pure il sensei.
Presto inizierà a pattugliare le strade della città.
Come ogni sera, indossa la maschera col becco da rapace, mantello nero, maglia e calzamaglia, anfibi, corazza, cintura e, dietro la schiena, il bastone da kendo.
Passa per il corridoio: «Ciao, mamma.»
Lei bofonchia un ciao, senza levare lo sguardo dal televisore. Da quando papà è stato ucciso per strada, non le importa più di niente, pensa Ferro. Non si accorgerebbe neppure se lui non rientrasse per una settimana.
Scende in cantina, prende il motorino, nero e privo di targa, e si lancia in strada. Il mantello si apre e, visto dall’alto, sembra un grande uccello. In città si parla di lui. C’è chi lo chiama Pipistrello, chi Gufo. A lui piacerebbe Falco di Ferro.
Farà in modo di diffondere quel nome, ma prima deve ottenere risultati significativi. Gira da tre mesi e ha solo sventato scippi e messo in fuga un paio di spacciatori.
Quella sera ha puntato una preda più grossa. Ha ascoltato voci e raccolto indizi e crede di sapere il luogo d’incontro dei Killer Bikers.
Ferma il motorino e si arrampica su una bassa palazzina, percorre il terrazzo e si affaccia dal lato opposto.
Eccoli. Sono solo due.
Si cala sul balcone del primo piano, poi si lancia dall’alto col mantello che gli disegna dietro un paio d’ali.
Con la voce modificata da un microfono, esclama: «Scappate o preparatevi a morire.»
I due non scappano. Ridono.
«Speravo venissi a farti massacrare» dice quello che sembra il capo. È enorme e la maglietta nera è tesa dai muscoli e dal grasso sottostanti. Sul braccio destro è tatuato un drago che ingoia una Hello Kitty sanguinante. Passa all’amico la birra che teneva in mano. L’altro ne beve un sorso e sputa verso Ferro.
«Chi c’è, capo?» dice una voce rauca. Sono spuntati altri tre Bikers da un angolo in ombra. Avrebbe dovuto perlustrare il campo di battaglia, prima di affrontare il nemico.
Che sia il primo e l’ultimo errore dice a se stesso, mentre cerca di controllare l’impulso a scappare via.
«Ti do un consiglio, passerotto: scappa!» lo sfida il capo.
La paura cede il posto alla rabbia. Non è un passerotto. È un Falco di Ferro. Non scappa. È un supereroe e non può morire.
Studia meglio la scena: i nuovi venuti barcollano. Probabilmente si stavano facendo. Il reggi-birra è solo un lacchè. Gli basterà sconfiggere il capo e il branco si disperderà. Ma dovrà essere rapido, altrimenti gli altri verranno a difenderlo.
Il lacchè rompe la bottiglia e la brandisce. Ferro estrae il bastone e guarda negli occhi il capo. «Ti faccio così paura che mandi avanti la tua ragazza?»
L’uomo fa cenno all’altro di fermarsi, tira fuori un coltellaccio e avanza minaccioso.
Il respiro di Ferro è tutt’uno col vento. Il cuore non deve accelerare, la mente non deve perdersi nella paura. Hello Kitty affonda il colpo, ma è lento e pesante.
Ferro scivola di lato mentre il bastone percuote la mano dell’avversario, che lascia cadere il coltello, e sale verso la gola. Subito Ferro è dietro l’avversario. Gli stringe il collo in una morsa fra bastone e avambraccio. Hello Kitty rantola e perde i sensi. Ferro lo lascia cadere.
Il lacchè si sta avvicinando, ma gli occhi sono spaventati. Gli altri stanno scappando via.
Con un colpo secco, Ferro gli fa cadere la bottiglia. L’altro si blocca, con un espressione sorpresa sul volto.
«Vai a dare un bacetto al bruto addormentato. Magari si sveglia e ti sposa» lo sfotte. Poi si volta e si arrampica sul balcone da cui è venuto.
Il vento gli accarezza la parte scoperta del viso. È stata una buona serata, ma avrà bisogno di molta pratica per affrontare chi ha ucciso suo padre. Domani è un’altra notte. Domani il giorno della giustizia sarà un po’ più vicino.