Il labirinto di Mandelbrot

Eli è in ritardo. Guardo l’orologio, le sei e un quarto. Il vapore del caffè americano esce dalla tazza e serpeggia davanti al mio naso.
Mi appoggio allo schienale, i battiti del cuore mi martellano il petto. Doveva arrivare già da un quarto d’ora, ogni minuto di ritardo è come un secolo.
Vibra lo smartphone, trattengo il respiro. Che sia lei? No, è solo Raffa. Tiro su la chiamata. «Pronto, ‘zzo vuoi?»
«Oi, mona, hai visto il mio messaggio?»
Sospiro. «No, sto aspettando Eli.»
«Stasera vieni al cinema e silenzio. Guarda il messaggio.» Butta giù.
Raffa è così, ma almeno è un vero amico. Apro WhatsApp. Nella chat mi ha mandato la locandina del film dell’orrore appena uscito: Il Labirinto di Mandelbrot. Raffa non fa che parlarne. Mandelbrot indica una figura che si ottiene con un procedimento matematico, blatera sempre, è il primo frattale mai scoperto, una figura complessa che più viene ingrandita più mostra che ogni suo pezzo è una copia di se stesso, all’infinito.
Insomma un inferno che più lo si guarda dentro più lo si ritrova tale e quale. Mi sembra una descrizione di ciò che ho nel cuore: un labirinto senza mappe da cui non riesco a uscire.
Sospiro e scorro le immagini col dito: dopo la locandina, mi ha mandato fotogrammi del film. Gente sgozzata a caso, tanto sangue e mostri. Vabbè, mi servirà per farmi due risate.
«Ciao.»
Alzo lo sguardo, è arrivata. Tuffo al cuore.
Si siede di fronte a me con lo sguardo basso. «Ho poco tempo.» Fa sparire le dita nella borsetta ed estrae la scatoletta con l’anello. «Te lo rendo. Mi spiace.»
Stringo i denti. Le lacrime sgomitano per uscire, ma le trattengo.
Il viso perfetto di Eli è nascosto da una ciocca di capelli biondi, non so perché, ma ho l’impressione che le scorra un rivolo cremisi sulla guancia. Batto le palpebre e il rosso non c’è più, solo i suoi occhi azzurri che fissano la scatoletta.
«Perché?» Vorrei dire tante altre cose, ma le parole rimangono incastrate in gola.
«So che dovrei darti una spiegazione, ma la cosa è complicata.»
Vorrei aprirle il cranio e guardare dentro a quella sua testa di cazzo. Stringo la tazza col caffè, le dita mi fanno male. «C’è un altro, un altro uomo?»
Lei ridacchia. «Fosse così facile da spiegare.» Si alza. «Scusa, non so cos’altro dirti.» Alza la scatola. «Scusa veramente, ma non so cosa ti sia passato per la testa a regalarmi questo.»
Te l’ho dato perché ti amo, e capire se anche tu mi amavi, volevo sapere.
Ora so.
La seguo fuori dal locale.
Vorrei che si fermasse e parlarle ancora, ma cammina spedita.
Il tempo si ferma, anche se lei continua a camminare.
L’immagine del suo viso che piange lacrime rosse si riforma nella mia mente. Stringo i denti. Lei se ne va, e il pensiero violento svanisce.
 
Raffa mi arpiona una spalla e mi sfoggia uno dei suoi sorrisi sghembi. «Allora, l’hai mollata, la troia?»
Un amico vero, Raffa. Alto, biondo e con una mascella perfetta accentuata da un mento quadrato. Un adone, lui ha tutte femmine che vuole, e io ho perso l’unica che per me contava. Non voglio piangere davanti a lui, faccio finta di niente e mi trascino dentro al cinema. Ci sediamo e ci sorbiamo la pubblicità.
Siamo soli, dimostrazione che sarà un film di merda. Raffa allarga le braccia sugli schienali e si mette a sghignazzare. «Dai, sparati questo film. È un capolavoro.»
Storco le labbra. Penso solo a lei, al suo viso delicato e alla crudeltà con cui mi ha detto addio. Non voglio pensare che sia per colpa mia. L’anello era solo perché l’amavo. Non volevo metterle fretta.
La mano di Raffa mi batte sulla spalla. «Eccolo che inizia.»
Buio. Una voce fuori campo introduce il film: Il labirinto di Mandelbrot è l’inferno. Il labirinto è in te, si ripete sempre uguale, il labirinto di Mandelbrot ti rinchiude, e tu non non puoi uscire.
Sullo schermo compare una donna col viso solcato da rivoli di sangue, una mano la colpisce il cranio biondo con una tazza.
Mi rigiro sulla poltrona. Forse un film horror non era nelle mie corde, stasera.
La scena si sposta a inquadrare un muro ripiegato su se stesso in infinite involuzioni, come un frattale, un vorticare ripetuto all’infinito sempre identico a se stesso.
Un uomo con la gola squarciata fissa la telecamera, ha un sorriso accattivante, occhi azzurri, capelli biondi, mento marcato. L’attore è proprio un adone. Sono sicuro che avrà tutte le donne che vuole.
«Devo dirti una cosa.» La voce di Raffa è diversa, baritonale. «Non prendetela male, tanto le femmine sai come sono.»
Sullo schermo il viso della bella ragazza piange lacrime di sangue.
Stringo il pugno, e così scopro di avere in mano il manico di una tazza rotta.
Raffa sorride. «Be’, Eli me me la sono trombata io un po’ di volte.» Si lecca le labbra. «Ma non rimanerci male, tanto non ti amava.»
Mi si ferma il cuore, Raffa ha la gola squarciata. Il coccio che ho in mano gronda sangue.
Mi agito sulla poltrona.. ma non sto più al cinema: sono seduto sulla nuda pietra, in un labirinto, con un mostro sgozzato che mi insegue.. un mostro che è il mio migliore amico.