Il prezzo della fama

Boris continuava a cambiare posizione sulla sedia. Per l’occasione pareva essersi imposto di non mangiarsi le unghie, ma l’unico risultato che stava ottenendo era quello di far scattare ripetutamente la mano dalla bocca alle gambe nel momento in cui si accorgeva di masticarsi inconsciamente un dito.
Dall’altra parte del tavolo faceva da contraltare l’immobilità dell’editore Damiano Toesan; austero e solenne leggeva il manoscritto di Boris, con i piccoli occhiali in bilico sulla punta del naso sottile e tre dita che stiravano metà delle numerose rughe del suo volto segaligno, sorreggendolo.
«Ebbene?» proruppe Boris all’improvviso.
Toesan lo fissò da sopra le lenti, visibilmente incredulo di fronte a tanta audacia.
Si adagiò contro lo schienale e gli occhiali scivolarono sull’ultima sporgenza che li sosteneva ricadendo sul petto dell’anziano editore, dove rimasero a dondolare appesi alla catenella argentata.
L’uomo estrasse un fazzoletto di stoffa bianca dalla tasca dei pantaloni e prese a pulire le lenti.
Boris sospirò.
Toesan sollevò allora lo sguardo «Lei piuttosto» chiese deciso «è convinto di aver scritto qualcosa di valido?»
Preso alla sprovvista Boris sussultò «Ma certo» si spronò a sostenere con fermezza «non sarei qui davanti a lei se non lo fossi».
«Bene» Toesan scostò la risma di fogli disperdendo con un gesto della mano l’impulso del ragazzo a ribadire le proprie ragioni «allora non leggerò».
«Ma…» balbettò Boris.
«Nessun ma.» lo interruppe Toesan alzandosi e afferrando il manoscritto. «Lei sa quello che possiamo offrirle?»
«Sì, certo» rispose il ragazzo ora circospetto «gli ultimi successi di autori esordienti sono stati lanciati da voi.»
«Già.» Sorrise l’anziano invitando Boris ad alzarsi e cingendogli le spalle. «Venga, andiamo nella sala stampe.»
Boris lo seguì.
Percorsero un corridoio, poi numerose rampe che li condussero nei sotterranei.
«Vede Boris» riprese Toesan giunti al cospetto di un macchinario piuttosto vetusto «la misura della convinzione di un autore circa la bontà del proprio lavoro, è data dalla disponibilità di partecipare lui stesso al processo di produzione delle copie che…»
«No no, aspetti un attimo!» lo interruppe Boris. «Se si tratta di pagare, io…»
«Stia tranquillo.» Sorrise Toesan «Non è nostra politica.»
Gli porse il manoscritto «lo metta nello scanner.»
Le macchine presero a girare e Boris si affrettò a raccogliere i primi fogli.
«Ma… sono bianchi! Che storia è questa?»
«L’inchiostro ce lo deve mettere lei»
«E dov’è? Devo compralo a mie spe… ah!» Una fitta lo bloccò.
L’editore era al suo fianco e teneva in mano un pugnale.
Dal braccio del ragazzo gocciolava sangue all’interno di un invaso della macchina.
Parole cremisi comparirono sulle pagine che uscivano dalla rotativa, le sue parole.
«Più “inchiostro”, più copie.» Sorrise Toesan.
Solo allora Boris scorse nella penombra le figure esangui accasciate su altre macchine che stampavano senza posa.
Prese allora il coltello e si incise la pelle più in profondità.