Il sole dentro

Un sorriso, a volte, può nascondere un baratro di disperazione. Un racconto di Angelo Frascella.

 
«Vorrei essere sempre sorridente come te» disse Lea, salutandola. «Ci vediamo domani in facoltà.»
Rita sentì l’allegria andare via con l’amica. Era di nuovo sola. Si fece coraggio e aprì il portone. Il silenzio dell’androne amplificò la voce che, nella testa, ripeteva: «Non puoi farcela. Telefonagli.»
Appena fu in casa, alzò le serrande, accese luci e televisione, s’infilò in bagno e si sedette sulla tazza.
Le mie amiche vivono da sole. Ce la devo fare anch’io.
Ma perché diavolo le coinquiline avevano deciso di lasciare la casa contemporaneamente? E perché la padrona di casa era così dannatamente gentile? Tranquilla, finché non troviamo altre ragazze, puoi restare al prezzo della singola.
Non poteva passare la giornata chiusa in bagno. E doveva studiare.
Con uno sforzo raggiunse la scrivania.
Lesse: si definisce catena di Markov un processo markoviano a valori discreti.
«Lo dice anche il libro: devi chiamare Marco. È l’unico disponibile a uscire con te a qualunque ora del giorno. Non vorrai mica stare sola fino a stasera?»
Rita scosse la testa. Fra tutti ragazzi che conosceva, Marco era quello che meno poteva piacerle. Nullafacente, interessato solo al proprio fisico e ai bei vestiti, con la profondità di pensiero di un post-it e altrettanto appiccicoso. Ma le sbavava dietro.
Si definisce catena di Markov…
«Rita, da giorni vaghi per il centro, pur di non stare sola in casa. O ammetti la disfatta con i tuoi o chiami Marco.»
Rita afferrò il cellulare e iniziò a comporre il numero dei genitori, ma immaginò i rimbrotti della madre e si bloccò.
«Ti detto quello di Marco: 3395…»
Rita chinò la testa. Fare a meno della rubrica non serviva. I numeri indesiderati le si stampavano a fuoco nella testa.
«Marco, sono Rita. Sei libero?»
 
Sedevano al tavolo del ristorante, dopo un pomeriggio insieme. Lui ciarlava di palestra, moda e posti da aperitivo. Eppure Rita sorrideva, perché il peso sullo stomaco pareva più leggero.
La prospettiva dell’imminente fine della serata iniziava, però, a preoccuparla.
«Permettimi di offrirti la cena» disse lui, alzandosi.
Mentre lo guardava andare a pagare, immaginò la propria stanza buia in quella casa vuota e il freddò l’assalì. Gli avrebbe chiesto di andare a dormire da lei. Meglio mal accompagnata, che sola.
Una mano le si posò sul braccio. Alzò lo sguardo e vide l’anziana signora del tavolo accanto: «È tutta la sera che vi osservo. Si vede che siete innamorati. Non se lo lasci sfuggire. Non creda a quello che dicono. È bello essere sposati per quarant’anni con lo stesso uomo.»
Fu come ricevere un pugno nello stomaco. Rita si alzò di scatto e uscì. Avrebbe imparato a sopportare la solitudine.
Appena fuori, il freddo e il buio risvegliarono la voce: «Lo senti questo silenzio?»
Si bloccò.
«Credevo stessi fuggendo via» disse Marco, sbucandole accanto.
Il suono di quella voce umana la riscaldò e un sorriso di sollievo le salì alle labbra.
«Sai, Rita, quel sorriso è una delle cose che mi hanno conquistato. È il segno del sole che ti porti dentro.»