Jimmy

Il ricordo è una bestia che non muore mai e che ti corrode fin nel profondo, non importa quanti anni tu abbia. Un racconto di Raffaele Marra.

 
Jimmy ha dodici anni, vive in periferia e, quasi ogni notte, piscia nel letto.
Porta i capelli cortissimi, un paio di nike ormai deformate e i soliti jeans strappati, quelli che sua madre ogni volta commenta con una delle sue furtive alzate di spalle e uno dei suoi “boh”.
A volte Jimmy fuma, ma senza alcuna regolarità. L’altro mese ha baciato una ragazza e la cosa non gli è piaciuta poi tanto. Qualche giorno fa ha baciato un ragazzo e neanche questo gli è piaciuto.
Jimmy aspetta sempre qualcosa, ma non sa bene cosa. E pensa sempre, anche se i suoi pensieri neanche lui li capisce bene.
Jimmy sogna, di notte, e i suoi sogni gli fanno tanta paura. È questo il motivo per cui spesso bagna le mutandine, il pigiama e il lenzuolo.
Sogna la bestia, quella creatura schifosa dall’alito cattivo e le mani grandi.
Lo insegue, gli urla dietro, lo afferra alle spalle.
Un po’ come fece, quattro anni fa, con sua sorella Dorothy.
Dorothy, di cinque anni, fu ritrovata dietro casa, senza vita in una pozzanghera di fango.
A scuola dicono che è per questo che Jimmy non parla mai con nessuno, che non ride e non piange mai, che l’altro trimestre ha aggredito il prof. di matematica, che “è intelligente ma non si applica”.
Forse sarà per questo, o per il fatto che da quello schifo di pomeriggio di autunno di quattro anni fa suo padre è stato portato via con l’accusa di omicidio aggravato.
Sarà sicuramente questo il motivo, dice la dottoressa Palmer quando viene a trovarlo a casa. Lei è dolce, profuma di fiori e parla lentamente, non come quelli che di notte vengono a trovare sua madre; quelli sono sempre nervosi, dicono cose incomprensibili e puzzano di alcol e di sudore. Una volta Jimmy ha chiesto alla donna chi siano i suoi ospiti e quella, come al solito, ha risposto “boh”.
E “boh” è ciò che risponde loro di notte quando le chiedono “quant’è?”.
Per questo, anche se il sogno fa paura almeno quanto la realtà, Jimmy ogni sera spera di addormentarsi presto. La sua camera è piccola e sporca, ma accanto al letto c’è un comodino con una piccola lampada, un fumetto che non ha mai finito di leggere, un rasoio poco affilato che, dice, potrebbe salvargli la vita prima o poi, e una radiolina a batterie.
Spegne la luce, ogni sera, e spende i suoi ultimi minuti di veglia a girare la manopola della radiolina su e giù. Ma non trova mai niente che valga la pena ascoltare.
Dicono che passerà, che supererà tutto, che la bestia non verrà più a tormentarlo, che smetterà di pisciarsi addosso come un moccioso. Ma Jimmy non risponde mai, non ci crede a quello che gli dicono, e sa che la bestia sarà sempre lì ad attenderlo, notte dopo notte.
Come questa notte.
La mamma è di là a gemere con quello del martedì.
È una notte come tutte le altre.
Jimmy spegne la luce e accende la radiolina. Cerca invano una canzone che gli accarezzi l’anima, ma ancora una volta si convince di non avere un’anima. Sta per spegnere.
Dal fruscìo emerge un motivo come gli altri, inutile e gracchiante.
Ma è “quel” motivo.
Jimmy resta immobile ad ascoltare. È la canzone che amava Dorothy, quella che ascoltava sempre, quella che canticchiava quel maledetto giorno. Jimmy chiude gli occhi aggiungendo buio al buio mentre la mente vola in un passato che la ingoia voracemente. Rivede la casa, la pozzanghera, il gioco, il litigio, le sue mani che le stringono il collo, gli occhi spaventati che si chiudono, il corpo leggero che cade, il terrore, la fuga.
Jimmy spalanca la bocca in una smorfia grottesca che nessuno vedrà. Sente il cuore battere forte, si accorge di averla, un’anima. La sente accartocciarsi in un delirio doloroso mentre la bestia feroce del ricordo divora le sue membra contorte nell’orrore.
Poi resta immobile, nel silenzio profondo della sua solitudine.
È una notte come tante altre, e, probabilmente, ancora una volta il letto di Jimmy sarà bagnato. Ma questa notte, a farlo, saranno le sue lacrime.