La ballata del contrabbandiere

Mi aggrappo. Con tutto quel che ho. Con braccia che tremano e pelle che urla.
Il ramo salvatore sporge dalla scarpata illuminata dalla luna.
Le spine dell’acacia, dure e lunghe come le bestemmie del Beppi, si fanno in strada in me. Dentro i palmi, dentro le dita, nel battito stesso. Ma meglio il dolore che il vuoto. Venti metri giù: il lago nero. Bella morte per uno che si fa chiamare Pirata.
La briccola sulle spalle pesa proprio come un morto. Seicento pacchi di sigarette. Un tesoro che non mi appartiene, ma che è tutto mio.
Vale più di quel che ci farò. Vale una notte intera senza sonno, una madre che prega, un figlio che aspetta.
La mano scivola. Un gemito mi sfugge dalle labbra, piccolo come un pensiero.
Sento il sangue colare giù dal polso, caldo, come se la montagna mi stesse succhiando via.
Luca. Figliolo. Se ora cado non resterà che il silenzio.
Ti lascerò un buco nel cuore e nello stomaco. Alla mercé di quella malattia che non ti molla. Chi ti salverà se il lago mi porterà via?
 
Un rumore.
L’istinto, quello da spallone, mi dice: sta’ zitto. Accucciati.
Ma l’altro istinto, quello più vecchio, quello della bestia: vuole vivere.
“Aiuto!”
Niente.
Allora giù ancora più forte, che mi sentano fino a Como.
“Aiuto!”
 
Passi. Sui rami, sulle foglie umide.
Una torcia.
Un uomo.
La luce mi acceca.
“Du ta se?”
Quella voce?
Uno sbirro? Che importa?
“Sun chi. So sburla gio…”
Attendo.
 
Un bastone scende.
Lo afferro. Sbuffo. Respiro.
Mi tiro su. Un passo. Un altro.
Arrivo in cima e crollo, con la terra fredda che mi prende.
Mi slego la briccola. La appoggio piano al fianco, come si fa con un morto.
“Grazie.”
Lui non dice nulla.
Noto la divisa: grigia.
I baffi a manubrio.
Lo sguardo di chi non molla.
Il Gige.
Il peggiore.
Mi ha già riconosciuto.
“Te la m’hee pròpri volüü lasà andà, nè…”
Si china. Apre la briccola.
Guarda. Scuote la testa.
«Bionde. Il corpo del reato.»
Ecco, ora mi sbattono al fresco.
Invece, mi fa alzare, richiude la briccola e me la rimette in spalla. Pesa. Ma adesso è un peso diverso.
Nei suoi occhi: compassione.
Stento a crederci.
“Ho saputo del to fiò. Forza. Sparìs dai miei öcc. Pirata.”
Non serve altro.
L’oscurità ci fa da complice.
Il silenzio è il nostro giuramento.
“Ta ringrazi. Anche Luca farà u stess.”
Il Gige cambia voce. Parla in italiano, torna nella divisa.
“Hai giocato col destino, stanotte. Ma quello… raramente concede una seconda occasione. E io farò lo stesso.”
Annuisco.
“Domani vado dal Beppi a vedere Italia-Svizzera, Gige. Ha il televisore in casa lui. Vieni anche te?”
Mi fissa.
“Asculta: mi e ti sem amis solo per sta noch. Da duman… sem nemis.”
Annuisco ancora.
Scuote la testa. Come per dire: non doveva andare così.
“E poi… anche se battiamo la Svizzera dopo la partita di ieri con il Cile saremo fuori comunque.”
Sorrido.
 
Ci dividiamo, lì dove inizia il sentiero.
Due strade.
Due nomi.
Due vite.
La sua luce scompare tra gli alberi.
Io resto.
Con la mia briccola.
Con la notte.
Con Luca nel cuore.
E un pensiero nuovo, ostinato, che graffia come l’acacia: è ora di smettere.